Regia di David Lynch vedi scheda film
“The Elephant Man” è un film che la gente ha paura di vedere, dal quale si preferisce stare alla larga, ma è anche un film che molti sono curiosi di vedere, specialmente coloro che si documentano in maniera più approfondita sul tema trattato dal film: la vera storia di un uomo nato deforme nella quasi totalità della sua figura, che vista l'apparente mostruosità è costretto a vivere come un fenomeno da baraccone nella Londra del diciannovesimo secolo, ma poi si scopre avere un animo sensibile e gentile nonostante l’impietosa cattiveria e mostruosità della gente comune; questa trama stuzzica la curiosità dell’uomo medio che viene pervaso da un sentimento contrastante di attrazione e repulsione, alzi la mano fra di voi chi prima di vederlo non ci ha pensato su cambiando idea almeno tre o quattro volte.
Questi presupposti fanno si che “The Elephant Man” debba essere considerato a tutti gli effetti un film horror: il mostro c’è, la paura c’è, l’atmosfera inquietante c’è, le sequenze da incubo ci sono, ma ci sono anche altri fattori che di solito in un film horror non si verificano con questi canoni come la commozione, il pianto, la pietà.
La prospettiva subisce un imprevedibile ribaltamento, lo schermo diventa uno specchio e quando John Merrick compare viene riflessa su di esso la nostra sensibilità: a seconda della reazione che ne scaturisce comprendiamo chi siamo veramente, se quello che pensiamo di osservare è un mostro significa che in realtà siamo noi ad esserlo, se invece la prima volta che lo vidiamo una lacrima ci riga l’anima e il viso come succede al dottor Treves significa che non siamo dei mostri come quelli che popolano la sua esistenza, come il suo “domatore” e padrone Bytes che lo mette in mostra a pagamento in un circo itinerante o come l’operaio delle caldaie che alimenta gli incubi notturni del povero John conducendo nella sua stanza di ospedale curiosi e prostitute in cambio di qualche sterlina praticando una vera e propria tortura psicofisica su di lui, e soprattutto la gente comune della stazione ferroviaria incapace di comprendere il dramma di una persona malata ed indifesa presa di mira dalla cattiveria di un paio di mocciosi e messa con le spalle al muro fino a suscitarne la prima vera richiesta pubblica di rispetto e riconoscimento di umanità che ha il sacrosanto diritto che gli venga attribuita in quella che io considero la scena più commovente di tutto il film, così forte ed intensa emotivamente da farmi pensare che il mondo è pieno di uomini elefante ma la neurofibromatosi ce l'hanno dentro e non esteticamente come il povero John Merrick.
Fortunatamente questo povero ragazzo morto a causa della degenerazione dei suoi tumori alla giovane età di 27 anni trovò il sostegno e il conforto del dottor Treves che fu capace con la collaborazione della sua equipe ospedaliera di conferire dignità e per quanto possibile normalità alla sua esistenza.
Il lavoro di David Lynch nell’adattare il memoriale del dottor Treves sulla vita di John Merrick è stato assolutamente grandioso, perfetto in ogni sua scelta, come il bianco e nero che accentua l’atmosfera lugubre della Londra di metà ottocento con i suoi macchinari rumorosi e le sue ciminiere fumanti, le modifiche apportate alla storia vera doverose per renderla più drammatica e traumatizzante: mi riferisco Bytes che qui viene descritto come uno sfruttatore violento e alcolizzato di John Merrick ma in realtà i due erano soci in affari al 50% tanto che l'uomo elefante accettò di buon grado di esibirsi oltremanica e più precisamente in Belgio proprio per poter viaggiare e vedere il mondo, da sottolineare come in questa parte del film Lynch abbia voluto in qualche modo omaggiare un classico a cui “The Elephant Man” è innegabilmente debitore cioè “Freaks” di Toad Browning, assolutamente fittizzio invece il personaggio dell'addetto alle caldaie dell'ospedale che per soldi porta gente nella camera di John facendo si che il povero uomo elefante venga deriso e bullizzato anche nella sua privacy.
Un altro elemento che arricchisce in maniera esponenziale il valore del film è il cast interamente britannico pieno di talenti da Oscar: da un intenso Hopkins fino al sadico Freddie Jones, dal maestoso John Gielgud alla integerrima Wendy Hiller fino ad arrivare alla faticosissima prova di John Hurt nelle vesti e soprattutto nei calchi facciali dell’uomo elefante, un trucco per il quale erano richieste molte ore di applicazione tanto è vero che Hurt lavorava a giorni alterni vista l’enorme fatica fisica che il suo ruolo richiedeva, pare che in piena lavorazione dichiarò che la parte di John Merrick gli stava facendo passare la voglia di fare l’attore.
Il film ricevette molte nominations agli Oscar ma nessuna statuetta, però grazie alle numerose lettere di protesta al mancato premio speciale per il make-up tale premio fu istituito ufficialmente dall’anno successivo.
Rivedendolo ieri sera ho notato che la versione trasmessa era più ricca di immagini: sono sicuro che la figura dell’uomo elefante nella sua interezza venga mostrata prima che l’infermiera gli porti i fiocchi d’avena nella sua stanza, qualcuno la fuori sa dirmi qualcosa?
Film immenso, assolutamente geniale che pur trattando un tema così toccante non mi stanco mai di rivedere.
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