Regia di Silvio Muccino vedi scheda film
«Prima regola del successo: il cambiamento». Al suo terzo film, Muccino Silvio si è messo in gioco per davvero, ha variato registro e, a suo modo, ha vinto. In accordo con l’editore del suo libro e un network, il Canton da lui interpretato - brutta copia del life coach di Magnolia - sceglie tre cavie e si prende sei mesi per indurle a realizzare i loro desideri: ci sono un attempato ex rappresentante, una bigotta di mezza età che sotto la scrivania di segretaria in Vaticano si diletta scrivendo storielle erotiche e una editor che vorrebbe il cuore - il resto lo ha già - del suo direttore. La sfida è chiara fin dal prologo: usare un linguaggio filmico che scolli il prodotto dalla antiquata, ormai preistorica, (com)media nostrana e volga lo sguardo oltreoceano, trovando l’America in casa dopo decenni di appiattimenti su standard da fiction Rai. In effetti, la squallida umanità italiota che popola il film prende forma in un montaggio incalzante, che sfrutta una macchina da presa sempre mobile - tra pianisequenza e semplici panoramiche - per traghettare in porto le singole storie ora in parallelo, ora intersecandole. Su una tempesta verbale e gestuale si innestano gag spassosi, personaggi compiuti (i comprimari Mattioli e Signoris) o lacunosi (i protagonisti Muccino e Grimaudo), sviluppi sentimentali mortiferi (il pavido finale) e un familismo che, oggi, pare quasi anticonformista. Le leggi del desiderio è un fresco, imperfetto, entusiasta atto di coraggio.
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