Regia di Leone Pompucci vedi scheda film
Celeste ha 70 anni e si trascina rabbiosamente tra le mura di un ospizio. Almeno fino a quando non si ritrova tra le braccia un neonato abbandonato da una prostituta. Leone nel basilico è un grido (disperato e ispirato) contro la realtà e le figure grigie che la popolano: un inno alla vita dal sapore autobiografico e dai toni teatrali. A 15 anni da Il grande botto, Leone Pompucci torna con una fiaba surreale che si nutre di iperboli ed ellissi, sublima l’assurdo per esorcizzarlo e spegne le luci della Capitale con una fotografia nostalgica e desaturata. La sua Roma è contemporaneamente un museo decadente e un luogo finalmente vivo: se ne respira il declino, ma anche lo spirito autentico, che esplode nel quadro geometrico del film, dove si alternano piani fissi e sussulti vorticosi, scorci e volti, tristezza e calore. Non cercate l’equilibrio - smarrito tra simbolismi eccessivi e pretenziosi -, ma uno sguardo prezioso, un modo di sentire. Un’elegia lontana anni luce dallo scintillio della nuova commedia e dal moralismo di tanto cinema pseudo-autoriale. Un atto politico contro il cinema di oggi. Contro il dominio di una parola ormai priva di significato: un chiacchiericcio svogliato e sgrammaticato, fatto di lamentele, luoghi comuni, amori dichiarati ai quattro venti e sentenze da talk show. Un film difficile, che urla la sua alterità sin dal titolo, la esibisce con orgoglio e dolenza. E riporta in vita una donna splendidamente interpretata da Ida Di Benedetto.
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