Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Western straordinariamente maturo dalla parte dei sudisti sconfitti, che mi ha confermato che il talento registico di Eastwood non sboccia negli anni 90, quando è stato universalmente riconosciuto.
Visto in tv in occasione del novantesimo compleanno di Clint Eastwood, Il texano dagli occhi di ghiaccio, titolo italiano di The Outlaw Josey Wales sebbene il protagonista sia originario del Missouri, è il quarto film ed il secondo western da regista per Clint, che ama misurarsi col genere di cui era diventato un'icona nel decennio precedente per merito della mitica trilogia del dollaro. Già in queste prime opere degli anni 70 il regista Eastwood (che inizialmente doveva essere solo protagonista, poi subentrato a Philip Kaufmann nella regia a riprese avviate) rivelava uno sguardo personalissimo e doti stilistiche ben sopra la media, dimostrando di aver ben appreso, ma non copiato, la lezione del maestro Sergio Leone.
Fin dall'incipit con l'impressionante incendio della casa ed uccisione della moglie e del figlio da parte dei soldati nordisti, tragica molla che spinge Josey Wales ad unirsi alle bande sudiste fino alla sconfitta della Confederazione, l'autore si dimostra già parecchio abile e mai scontato nella scelta delle inquadrature e nella definizione di uno stile personale. Vedasi la scelta di virare al blu il montage sulla partecipazione di Josey Wales alla Guerra di Secessione per poi tornare ai colori veri e brillanti della natura del Dixieland, meravigliosamente fotografata, che animano la vicenda nel dopoguerra, quando i compagni di lotta di Josey sono costretti ad arrendersi e lui diviene un fuggitivo braccato dal nuovo ordine dei vincitori. La violenza di quel mondo spietato è rappresentata, come nella scena del mitragliatrice, con la crudezza introdotta nel genere proprio dai suoi spaghetti western, e non mancano i proverbiali duelli di rapidità e freddezza con le pistole, in cui Josey riesce immancabilmente ad abbattere una molteplicità di nemici.
Certamente non casuale è la scelta di mettere in scena un western con un punto di vista alternativo a quello finora prevalente, tratto da un romanzo filo-confederato probabilmente affine alle idee conservatrici care a Clint, con i nordisti nella parte dei cattivi, anzi spietati nel sterminare i nemici arresi e prigionieri, ma che offre pure una rappresentazione rispettosa e simpatetica dei nativi americani, traditi dalle false promesse del governo statunitense.
Clint nell'incarnare Josey Wales - dagli sputazzi micidiali con cui stecchisce insetti o scorpioni o mette al suo posto gli impiccioni - ne fa il suo classico archetipo di uomo coriaceo, silenzioso, burbero, indurito dalla vita e dai suoi drammi, ma in fondo giusto e buono, la cui durezza è essenzialmente un meccanismo di difesa contro la crudeltà del mondo, archetipo incarnato in gran parte dei suoi film – soprattutto western - da High Plain Drifter a Gli Spietati. Ad arricchire la pellicola la cura nel tratteggiare i personaggi di contorno, nella serie di incontri del fuorilegge, sulla cui testa pende una taglia da cinquemila dollari, nel suo viaggio da uomo braccato attraverso il Sud sconfitto: il giovane orgoglioso e testardo Jamie, simile anche nell'aspetto allo Schofield Kid di Unforgiven, l'anziano indiano “civilizzato” Lone Watie, scaltro e sarcastico per le fregature prese dai bianchi, l'inaspettatamente tosta ragazza navajo salvata dagli abusi di un padrone crudele, il ciarlatano venditore di un intruglio spacciato come toccasana, la nonnetta filo-nordista dal carattere impossibile, in viaggio con la bella nipotina Laura verso la casetta colonica del figlio caduto in guerra, gli avventori del saloon senza alcool nella città mineraria abbandonata.
Non manca neppure un po' di ironia grazie soprattutto ai personaggi anziani di Lone Waite e della nonnetta nordista, ai loro scambi con Josey e pure tra di loro, tramite cui Clint già dava stilettate all'odiato politicamente corretto (Nonna: “You know, we're sure gonna show them redskins somethin' tomorrow. No offense meant.” Lone Watie: “None taken.”).
Con alcuni dei disperati incontri lungo il cammino Josey fonderà una improbabile comunità quasi familiare, intenzionata a vivere in pace grazie ad un patto di fiducia ed onestà concluso con il capo indiano Orso Bruno, ma anche a vendere cara la pelle quando in nordisti a caccia del “fuorilegge” si presentano alla soglia, fino ad un bel finale aperto e non convenzionale che chiude, dopo 135 minuti in cui non c'è nella di superfluo, un'opera straordinariamente matura che mi ha confermato (avevo già amato molto anche il precedente High Plain Drifter) che il talento registico di Eastwood non sboccia negli anni 90, quando è stato universalmente riconosciuto.
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