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Il texano dagli occhi di ghiaccio

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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La recensione su Il texano dagli occhi di ghiaccio

di scapigliato
10 stelle

Il primo segnale ci arriva dal titolo. Abbiamo un nome proprio di persona che distingue questo nuovo pesonaggio di Eastwood dai suoi precedenti pistoleros leoniani e post-leoniani. Non è più uno straniero senza nome, anche se in futuro sarà solo il "predicatore" de "Il Cavaliere Pallido", e poi ancora avrà un nome in "Gli Spietati". Questo significa che non c'è una linea precisa che scandisce un'ipotetica evoluzione dei suoi personaggi, ma questi si adattano al film e alla sua storia. Sicuramente la mancanza di "stranierismi" e la presenza di un nome, un passato e un perchè, sono indicativi delle intenzioni di Eastwood regista e di Eastwood autore. Questo perchè, la storia di un buon uomo di campagna che vuole stanare i bastardi che gli han massacrato la famiglia, dura solo il tempo dei titoli di testa. Infatti, durante la guerra di Secessione, sintetizzata appunto nei titoli, Josey Wales conosce e rifiuta la violenza e il dolore della guerra. Ma cosa più importante, lo vediamo in seguito che né si arrende ai fottuti nordisti né vuole continuare la maledetta guerra. Sceglie invece di rimanere in una terra di nessuno in cui trovare la sua dimensione ideale. Saranno poi più chiarificatrici le parole che si scambierà con Orso Bruno: un apologo di libertà e di vera ribellione. Ecco quindi che dare un nome e un volto ad un personaggio che vuole la pace nella sua accezzione più pura e pulita, significa renderlo concreto, vivo e civilmente utile. Se a questo Mito Ribelle, Eastwood non avesse messo nome, sarebbe stato sicuramente affascinante, ma l'avrebbe reso anche più ineffabile, quasi ipotizzando che un uomo così libero non poteva esistere. Dandogli invece coordinate reali riesce a fissarlo nella Storia.
Questa è l'intenzione principale del film: parlare di pace, di ribelione e libertà senza preferivi scappatoie accomodanti né tantomeno affascinanti soluzioni narrative e visive. Un film molto naturalista, come evidenzia pure il Pezzotta. Un film che fa attenzione alla realtà nuda e cruda più che alla componente mitica che avevamo trovato in "Lo Stranieo Senza Nome" e che troveremo ancora ne "Il Cavaliere Pallido". Ed è da evidenziare come nonostante l'intenzione alta e nobile del film, Eastwood costruisca un personaggio sgradevole. Meno di quello che si reca a Lago per portare l'Inferno, ma sicuramente non un campione di civiltà e buonismo, fortunatamente. Josey Wales è innanzitutto un bandito. Che sia giusto o sbagliato non è importante ai fini dell'analisi, ciò che importa è che per il mondo cosidetto civile e democratico, e per la legge degli Stati Uniti è un criminale e va ucciso. Questo è importante. Si toccano momenti di anti-patriottismo inusuali per Eastwood e per il genere stesso. Josey è quindi un bandito temuto e ricercato, cicca in testa ai cani, usa il cadavere di un amico per coprirsi la fuga, spara a tradimento e alle spalle, e altri quasi impercettibili segnali di "rabbia". E' un ribelle anarchico, che rifiuta lo stato e i governi per preferirvi la parola tra due uomini. Questo ritorno ad una certa dimensione primitiva dell'etica ci ricorda appunto il ribelle jungeriano.
Un film che stilisticamente alterna il puro western a un western lirico, ricercato e a tratti elegante. Ma come detto prima, è anche un western molto naturalista, fedele alla realtà storica più che in altri film dell'autore. Questa operazione di adesione alla storia ci aiuta a carpire l'invito ribelle di Eastwood. Cioè, che forse questo non è il mondo per eroi fantomatici come i suoi stranieri, seppur affascinanti e insostituibili, ma è forse un mondo per i Josey Wales arrabbiati e ribelli che vogliono vivere in pace tra gli uomini.

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