Regia di Peyton Reed vedi scheda film
Un prodotto d'intrattenimento con la trita e ritrita prassi disneyana. L'ennesimo episodio usa e getta, che nonostante la materia pecca nel non tentare di uscire da quei monotoni binari pre-stabiliti. Per fortuna gli effetti digitali soddisfano e sorprendono anche i più esigenti, riproponendo quella magia immaginifica che solo il cinema sa dare.
Uno sviluppo travagliato, quello di “Ant-Man”, uscito come capitolo finale della fase 2 del Marvel Cinematic Universe, pur essendo in sviluppo già dal 2006.
Uno sviluppo che nel bene e nel male rispecchia un po’ questo ennesimo episodio (e qui è proprio il caso di dirlo dato che ci troviamo dinanzi al nuovo tipo di cinema, quello serializzato tipico della Walt Disney del XXI° secolo) di un supereroe Marvel: risonante, giovanile e fatuo.
Non siamo qui per discutere sulla standardizzazione dei film Marvel, tuttavia, quando ci si avvicina a questa categoria di cine-comics viene spontaneo valutare ognuno di essi come tassello di un media franchise mastodontico che segue le regole dell’intrattenimento televisivo piuttosto di quello cinematografico.
Ed il film in questione è proprio questo: un altro piccolo pezzo di un puzzle, talvolta divertente, ma mai incisivo, che una volta concluso l’ultimo minuto verrà messo da una parte assieme ai “Thor” e agli “Iron Man” come film usa e getta.
Eppure “Ant-Man” al contrario dei soliti supereroi dal fisico scolpito e dalla potenza inenarrabile attraeva anche quella parte di critica rivolta al cinema leggermente più impegnato, soprattutto coloro i quali speravano che “Guardiani della Galassia” avesse finalmente lanciato uno stile più indisciplinato ed istrionico nella casa di Stan Lee (anche se sarebbe più corretto dire di Topolino).
A tutto questo vi va aggiunto uno dei più valenti registi delle nuove generazioni, Edgar Wright, che sembrava fosse il prescelto alla guida di questo film. Appunto, sembrava, perché divergenze creative e quant’altro misero lo zampino nella collaborazione tra Marvel e il chiassoso Wright, sostituendolo con Peyton Reed, uomo più vicino all’essere un mercenario che un artista.
Ed i risultati si vedono, l’uniformazione di Reed cerca il solito umorismo infantile tipico per famiglie ben lontano dalla stravaganza di Gunn e Wright, le solite botte action e la più classica delle classiche costruzioni dell’eroe, un compitino ben svolto che soddisfa fan, casa di produzione e botteghino.
E quelli che si possono dire gli appassionati del buon cinema? Essi si ritroveranno con un risultato per niente eclatante, dentro una formula ampiamente sperimentata, a tal punto che ormai fa venire la nausea quanto l’aver raggiunto il quarantesimo episodio di un serial TV di 120 puntate, con la beffa di aver perso l’occasione di poter vedere un film con una marcia in più datagli dalla diversità del soggetto, con un Paul Rudd solito volto da commedia che nulla dà e nulla toglie, per dirla in modo proverbiale, più un Michael Douglas, che, sì ha un buono spazio, ma è totalmente annichilito dalla ricetta Disney + Marvel, ben posizionato su binari già stabiliti e fruibili dal pubblico di massa.
Nessuna banalità ci viene risparmiata in termini di narrazione, la sua elementarità lo rendono poco appetibile a chi si interessa di cinema, eppure c’è un fattore col quale “Ant-Man” riesce a svettare e che solitamente è mero contorno per la reale riuscita di un film: gli effetti speciali.
L’alta qualità di questi ultimi compensa molte delusioni, ogni volta che viene variato il rapporto dimensionale si rimane incantati dinanzi al puro e semplice spettacolo del cambiamento di prospettive e, di conseguenza, dell’ambiente circostante; non si può non essere entusiasti nel veder realizzate tutte le potenzialità da tempo sognate fin da “Radiazioni BX Distruzione Uomo” e “Viaggio Allucinante” sfruttando la computer grafica per qualcosa di realmente innovativo, raggiungendo il suo picco durante il combattimento finale e offrendoci un concentrato di azione in contrapposizione con uno dei luoghi più innocui della terra, la stanza di un infante, con un risultato strabiliante e che offre quella magia, senza trucchi di cinepresa o montatori stavolta, che solo il buon cinema sa dare.
Ovviamente stiamo parlando di un prodotto di esclusivo intrattenimento, chi è alla ricerca della poetica di Matheson o Clarke dovrebbe starne alla larga, inclusi i fan di un cinema ribelle alla James Gunn ed Edgar Wright (anche se di quest’ultimo restano alcune parvenze), i quali troveranno il solito film con lo stampino timbrato Disney, ciononostante le scene d’azione adrenalinica e sorprendentemente innovative unite ad una visione umile e, per quanto possa esserlo, onesta, salvano il film dalla mediocrità dandogli comunque un suo perché all’interno della desolante e seriale produzione Marvel.
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