Regia di Peyton Reed vedi scheda film
Complici la (azzeccata) faccia da schiaffi di Paul Rudd, la spiccata attitudine del regista Peyton Reed (vedasi curriculum), così come probabilmente a causa degli schizzati residui del lavoro di Edgar Wright (suoi soggetto e prima sceneggiatura) - che avrebbe dovuto dirigere il film -, l'ennesimo prodotto Marvel trova una sua ragion d'essere nell'energico sbilanciamento verso la commedia.
Sospinta da meccanismi e situazioni da heist movie, tenuta in costante tensione dai funzionali toni brillanti che sconfinano dalla tipica (nonché riempitiva, perlopiù) vena umoristica di casa madre, abitata da facce e battute calzanti (divertente il personaggio di Michael Peña e i suoi "sintetici" racconti): Ant-Man sembra opera "minore" nel grande disegno del Marvel Cinematic Universe, più disimpegnata, eppure - o forse proprio a causa di ciò - si rivela intrattenimento efficace e (felicemente) leggero.
Molto del merito va al protagonista che, dovendo indossare i panni di un personaggio caricato da una moltitudine di stereotipi del genere (il classico bravo ragazzo finito nei guai per una giusta causa, in cerca di riscatto e di riabbracciare l'amata figlioletta, e che si scopre altresì avere al momento giusto virtù alla MacGyver e "insospettabili" doti da action man), trova la giusta via conferendogli il necessario candore e il distacco (non privo di una certa eleganza e, parimenti, di fiera attitudine "cazzona") di chi si trova catapultato nel bel mezzo di eventi impossibili.
Il resto, come si può immaginare date le origini, è mera riproposizione di canoni e schemi marveliani, oliati a dovere da anni di esperienza: tutto fila come deve filare. Rispettate, insomma, le tappe obbligatorie del percorso: l'impianto narrativo, la gestione delle dinamiche e dei tempi, l'innesco emotivo (la doppia problematica padre-figlia), la figura del cattivo monodimensionale (l'immancabile scienziato megalomane e psicopatico che accoppa agnellini innocenti per i suoi esperimenti, così, per renderlo subito odioso), i traumi del passato (la moglie dello scienziato sacrificatasi per il bene comune) e le questioni irrisolte del presente, gli inserti dell'universo condiviso (invero alquanto flebili), il senso dello spettacolo.
Non vengono trascurati, naturalmente, gli effetti speciali: se il loro uso è standardizzato, buone soluzioni visive e sequenze action arrivano dallo sfruttamento della contrapposizione tra grande (il mondo delle persone) e piccolo (quello ad altezza formica).
Rispettati anche i ruoli: oltre all'eroe per caso, il tormentato padre/mentore/salvatore Michael Douglas (prova apprezzabile), il villain sciocco (Corey Stoll, anonimo), l'interesse amoroso nonché futura compagna d'imprese (super)eroistiche (Evangeline Lilly e la sua acconciatura in stile Valentina di Crepax: no comment) - come s'intuisce nella scena post-titoli di coda-, il fidanzato della ex moglie del protagonista oltre che poliziotto non particolarmente sveglio (Bobby Cannavale), la compagnia di giullari (Peña e altri due tizi).
Certo non sapremo mai cosa ne sarebbe venuto fuori se avessero permesso a Edgar Wright di dirigerlo (ma il punto è questo: di quanta libertà avrebbe goduto? Domanda retorica), possiamo solo accontentarci di questo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta