Regia di Duccio Chiarini vedi scheda film
Che strano periodo l'adolescenza: una esplosione di sentimenti e sensazioni ingovernabili: la linfa vitale che esplode dentro come fosse dentro un vulcano e nel contempo, spesso negli individui più sensibili, la potenza dei sensi inibitori che si manifesta con insicurezze, titubanze, sensi di vergogna oggettivamente fuori luogo che sfociano in complessi e spingono tutti costoro a vivere sempre col freno tirato: dunque sottotono, in silenzio, remissivi e schivi, facendosi opprimere da problemi o psicosi che diventano montagne insormontabili anche quando sono in realtà solo piccole dune facilmente valicabili.
L'estate nella casa toscana del nonno pescatore appena deceduto, potrebbe per il diciassettenne Edo corrispondere al periodo dello “svezzamento” sessuale: non fosse che per la sua ritrosia, resa più acuta da un piccolo (ma insormontabile per lui) problema andrologico legato al prepuzio stretto che ostacola e rende doloroso l'atto sessuale, anche a livello puramente “manuale”, tipico rimedio casereccio di quell'età.
Questo spunto, affrontato in modo concreto e senza cammuffamenti o falsi pudori nei confronti della parte intima interessata - anzi quasi protagonista - ma pure senza ostentazioni o ammiccamenti grevi o scontati, consente al regista esordiente nella fiction Duccio Chiarini, coinvolto in una inusuale, singolare coproduzione italo-itaniana-britannica, di rappresentarci un quadro realistico e anche tenero, credibile, coi piedi per terra, di un mondo che in qualche modo, anche senza l'inconveniente del prepuzio, ci ha portato dall'adolescenza alla maturità: la famiglia, che appoggia e garantisce affetto, ma resta sempre troppo indietro, lontana, inadeguata per chiarire o fornire un appoggio concreto; gli amori esplosivi presenti da tempo ma rimasti inespressi per troppa ritrosia; le confidenze schiette con l'amico di sempre, balordo ma di cuore, le cotte estive che lasciano spazio, per fortuna, a manifestazioni più compiute e meno irrisolte che ci rendono alla fine uomini (o donne) se non cresciuti, almeno più sicuri o comunque più realizzati.
Prodotto dall'iraniano Babak Jalali, diretto da un giovane regista che si è fatto le ossa con Spike Lee durante le riprese italiane del suo controverso Miracolo di Sant'Anna, Short Skin, presentato con successo a Venezia 2014 e poi all'ultima Berlinale, è un prezioso ritratto di insicurezze ma anche schiettezze adolescenziali che sanno essere irresistibili, vere, e pure commoventi per come riescono a riportarci in vita momenti, sensazioni, incertezze e fremiti, impeti, che sono stati parte di noi in quegli anni così delicati, complessi e anche traumatici, nel bene e nel male.
Merito del film è quello di rendere alla perfezione lo stato d'animo di quella età, di quei momenti pieni di impulsi e di freni che ci costringono a procedere a scatti tra impeto e brusche improvvise fermate.
Ottimi, credibili e spesso irresistibili interpreti, dal protagonista Matteo Creatini, segaligno e insicuro come da copione, alla irresistibile pazzerella e sin troppo schietta sorella Olivia, con le sue esilaranti ossessioni sull'accoppiamento (dei cani ma non solo) e sul capello corvino.
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