Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
A distanza di qualche anno dalla sua prima uscita, questo film continua a essere un film divisivo, come fu allora, o se ne può parlare con maggiore distacco?
Il texano Kyle (Bradley Cooper) aveva imparato fin da bambino che gli esseri umani possono essere come i lupi, aggressivi e violenti, come le pecore, miti e docili, oppure come i cani pastori che proteggono le pecore dagli attacchi dei lupi.
Da questa semplicistica suddivisione antropologica egli non si sarebbe allontanato neppure da adulto, specialmente dopo che l’11 settembre 2001 gli aveva confermato che i lupi esistono!
Dopo il crollo delle Twin Towers, pertanto, egli, non volendo essere pecora, si era messo a disposizione del suo paese, arruolandosi nei corpi speciali che sarebbero partiti per le terre dei “lupi”, prontamente individuate dal governo americano, che infatti aveva messo in piedi in poco tempo due guerre orribili, le cui conseguenze continuiamo a vedere e a sentire.
Valutando le sue eccezionali doti di precisione nel tiro, Kyle, dopo un durissimo allenamento, era stato fsatto partire per l'Iraq, dove si era segnalato per la intelligente copertura che era riuscito quasi sempre a fornire ai suoi commilitoni impegnati nella ricerca dei terroristi: nessuna strage inutile, nessun colpo a vuoto, 160 bersagli raggiunti: il miglior cecchino della storia degli Stati Uniti.
Va da sé che i bersagli raggiunti fossero esseri umani, uomini, donne, ragazzi, e anche un bambino, a cui la madre aveva appena consegnato una bomba destinata a far saltare in aria un blindato occupato dai suoi compagni d’armi.
E’ la dura logica della guerra: Kyle colpisce e uccide, ma lo fa per difendere il proprio paese, gli uomini che si fidano di lui, se stesso e, in fondo, anche se indirettamente, la propria famiglia che ha diritto di vivere nella pace e nella sicurezza garantita proprio dall’eroismo coraggioso dei soldati.
Non farlo equivarrebbe a morire o a far morire, cioè a diventare pecora, non assumendo le proprie responsabilità. I lupi, in fondo – Kyle lo ribadisce più volte – sono dei selvaggi. Intorno ai soldati si stringe tutta l’America, quella delle famiglie, dei bambini belli, ben nutriti e puliti, che, grazie alla guerra condotta da un pugno di coraggiosi eroi che diventeranno leggendari, potranno continuare a vivere nel migliore dei mondi possibili.
La guerra, però, non è una bella cosa, e lascia tracce indelebili nel fisico, nel cuore e nella mente di chi l’ha combattuta, tanto che lo stesso Kyle non sarà più la persona di prima: era stato un marito innamorato della sua Taya (Sienna Miller) e anche un padre tenerissimo, ma ora sembra vivere altrove, inseguendo i fantasmi della sua mente in una vita solo sua, che non intende comunicare ad altri, cosicché è costretto, malvolentieri, a ricorrere allo psicologo, che tenta di riadattarlo alla vita civile.
Per fortuna, dunque, anche Kyle – la leggenda, come viene chiamato, – è travolto dalle contraddizioni della guerra, e anche dalle proprie, visto che sulla liceità di quella guerra non aveva mai nutrito dubbi.
Kyle è un eroe solo, egocentrico, é una leggenda che la guerra tecnologica ha distrutto, esecutore e vittima di un sistema maledetto.
Clint Eastwood ha il merito di aver diretto bene un film molto classico e di averlo reso coinvolgente, soffermandosi e interrogandosi, a sua volta, sull’orrore senza fine della guerra, sull'illusione tecnologica della distruzione chirurgica e mirata, sulla morte dei “nemici” e anche su quella degli amici, sulle devastazioni dei luoghi, dell'ambiente, delle case, degli affetti, della compassione...
Dare a Clint quello che è di Clint è doveroso.
Non sento invece il dovere di amare questo film: non essendo texana, non credo che la guerra sia l’unica risposta possibile alle escalation terroristiche, non amo la confusione fra vendetta e giustizia, non mi piace che la guerra di una sola parte dell'America, anche se maggioritaria, non si possa discutere, senza destare sospetti di chissà quali tradimenti ...
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