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American Sniper

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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La recensione su American Sniper

di chinaski
6 stelle

L’Eroe Americano è educato sin dall’infanzia al suo destino. La Bibbia e le armi. Poi ci sarà una donna, dei figli e una famiglia. Almeno in Patria, per avere qualcuno da difendere e da cui tornare. Un Dio che semplifichi le proprie azioni e le loro conseguenze morali. L’Eroe non ha un gran cervello, ma muscoli e spirito di sacrificio. L’Eroe crede e combatte. In alcuni casi è disposto anche a crepare. E in quei casi tornerà in Patria all’interno di una bara e alla sua famiglia verrà donata una bandiera. L’ideologia è semplice, schematica e conosciuta. Vista e rielaborata cinematograficamente centinaia di volte. Clint Eastwood aderisce a questa ideologia, non è una novità, è quindi coerente, non ci sono dubbi, con il suo pensiero conservatore e il personaggio che racconta, nella sua bovina consapevolezza, ne è un fulgido esempio. Il classicismo del regista americano si esprime nella chiarezza del racconto, i passaggi obbligati della narrazione per ribadire i luoghi comuni del patriottismo, perché il solo modo per parlarne è questo, una serie ininterrotta di idee senza spessore e profondità che gli statunitensi si ripetono ad ogni inizio di una nuova guerra, tanto per essere sicuri che nessuno se le dimentichi. E il vaccaro che diverrà il più celebre cecchino della storia militare di questo Paese ne è l’incarnazione perfetta, nessuno spirito critico, nessuna obiettività, una morale che la guerra ridefinisce in base alle proprie esigenze, per cui l’uccisione di altre persone (tra cui donne e bambini) è legittimata dal bisogno di salvare quelli che stanno dalla propria parte. Innegabile è la capacità registica di Eastwood, il modo in cui fa entrare lo spettatore nell’azione di guerra, il modo in cui organizza gli scenari distrutti di quella parte del mondo arabo diventato teatro di morte, quello che stanca e annoia è la mancanza di una voce contraria, tranne le parole remote, lette da una madre durante un funerale o gli scompensi psichici dell’Eroe ogni volta che torna dal fronte per riunirsi con la sua famiglia, una voce che si domandi, in maniera reale e concreta, il senso di azioni tanto malvagie, che siano in risposta ad una violenza o ad un attacco subiti non ci interessa, questa divisione del mondo in pecore, lupi e cani da pastore non ci convince, perché pone le sue basi su un concetto comunque primitivo dell’essere umano, a cui viene negata qualsiasi possibilità di evoluzione, perché incapace di spingersi in profondità dentro se stesso, nella ricerca delle origini di quello stesso male che sembra essersi impossessato di gran parte del mondo. Cambiando il punto di vista, cambia la ragione e la motivazione delle azioni e dei gesti, la matrice armata, che cerca nel sangue e nella morte una soluzione rimane però la stessa ed è il seme di ogni guerra, a che cosa serve piangere un eroe o un martire, una vittima o un carnefice se poi non si riesce a vedere oltre le bandiere che hanno sancito queste morti? O forse queste domande sono implicite nelle immagini stesse, nella natura ambigua di un credere così granitico che neanche le pallottole riescono a scalfire e che alla fine, proprio a casa, lontano dai campi di guerra, nella rielaborazione psicotica di quelle esperienze, trasformeranno la Leggenda in Mito, ma nella maniera più stupida e indecente possibile.

 American Sniper è un film reazionario, retorico e militarista, nella sua apparente semplicità ideologica, dove la costante presenza di una morale ovina (pecore/lupi/cani da pastore), talmente basilare nei suoi assiomi e meccanismi da sembrare il frutto di qualche mente rimasta intrappolata tra le prime pagine della Bibbia, si coniuga con il compiacimento tutto maschile dell’azione militare, a base di ormoni, muscoli e tecnologie, diventando, così, un modo di vedere il mondo e di giudicarlo, con una linearità di pensiero (che dai soldati diventa quello di una Nazione) che finisce per distruggere, in maniera ancora peggiore di un bombardamento, tutta la complessa ricchezza della vita stessa, forse Eastwood ha ritenuto necessario immergerci dentro tutto questo, senza analisi esterne o altri punti di vista, per farci arrivare al fulcro stesso della sua società, ovvero il paradosso, esemplarmente sintetizzato, poi, dalla morte dell’Eroe. E magari quelle bandiere che sventolano lungo la strada non hanno più nulla a che fare con la gloria e l’onore, ma sono diventate il simbolo di una sconfitta che potrebbe significare il crollo, dall’interno, di quegli stessi inutili valori che vorrebbero omaggiare.

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