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American Sniper

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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La recensione su American Sniper

di AtTheActionPark
7 stelle

Non è un mistero che molto del cinema contemporaneo più interessante - d'autore e non - parli soprattutto di sé. Film che si rivolgono sostanzialmente al cinema stesso. A volte, vere e proprie scatole cinesi (Sils Maria); altre, ingegniosi giocattoli postmoderni (Grand Budapest Hotel); altre ancora, acute riflessioni sullo sguardo e sulla storia di questo sguardo: quello dello spettatore (Addio al linguaggio). In un panorama così autoreferenziale – il che, sia chiaro, non è un male, quanto, piuttosto, una condizione, uno stato delle cose -, mi pare che Clint Eastwood “sorpassi da destra” tutto e tutti, con un film tanto anacronistico (verrebbe da dire “fuori moda”) quanto necessario. Necessario perché problematico, davvero «dialettico», come scrive acutamente Carlo Valeri su Sentieri Selvaggi. Ma attenzione: non si tratta di una dialettica della guerra, perché, del fronte opposto, American Sniper ci mostra solo delle ombre (letali finché vogliamo, ma ben poco definite). Quella di Eastwood, piuttosto, è una guerra tutta interna ad un paese, gli Stati Uniti, e ad un uomo, Chris Kyle. È un errore, infatti, pensare ad American Sniper come un'opera “monolitica”. Eastwood sarà, sì, “l'ultimo dei classici”, ma il suo è un classicismo pieno di ombre e di dubbi. Dubbi che non si rivolgono tanto ai valori in cui (si) crede, e che l'autore repubblicano non mette di certo in discussione, quanto alla loro inattualità. Non è un caso, quindi, che lo sguardo del film, e di Kyle, sia sempre di sconforto, di paradossale inadeguatezza alla situazione – benché, sul campo, egli sia il migliore. La locandina del film parla chiaro: quello del “cecchino più letale della storia” è uno sguardo basso, assorto, in qualche modo sconfitto.

 

Come scrive giustamente Roy Menarini, il film di Eastwood è davvero un'opera «di un'onestà flagrante», che ci mostra l'unico «eroismo possibile» oggi, quello di un uomo e di un regista che inseguono un ideale fino alla fine, in un contesto che si rivela, poco alla volta, in tutta la sua assurdità. American Sniper è davvero, allora, una tragedia moderna. Una tragedia che sfocia, più di una volta nel corso del film, nell'incubo. Una delle sequenze “forti”, ovvero la tempesta di sabbia, catapulta infatti definitivamente nell'irreale un film che si rivela essere un'esperienza tutta soggettiva di Kyle (e da cui "riemergeremo" soltato alla fine, sui titoli di coda, con le immagini dei funerali di Stato). Come nel migliore cinema hollywoodiano, American Sniper riesce dunque, davvero, a restare sospeso «tra il sogno e la realtà». (Franco La Polla)

 

Il film di Eastwood non si piega a capricci o vezzi formali, ma utilizza le possibilità del linguaggio cinematografico con grande pragmaticità, come pochi altri, oggi, riescono ancora a fare. Certo, non per questo American Sniper è esente da difetti. La tendenza, molto eastwoodiana, a sottolineare e rendere fin troppo automatici alcuni passaggi è, qui come altrove nella filmografia del regista, ben presente (anche un capolavoro come Gran Torino risentiva di tale meccanicità). Ma la capacità del vecchio Clint di scavare nelle pieghe e nelle aporie del sistema americano appare davvero mirabile. Soprattutto, con questo sguardo duro e puro, e terribilmente onesto.

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