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American Sniper

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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La recensione su American Sniper

di LorCio
6 stelle

La parte più interessante di American Sniper è quella che avviene lontano dal fronte, focalizzata sul ricollocamento civile del soldato che ha perso totalmente confidenza con la vita normale. Il confronto tra l’esaltazione vitalistica della disciplina della guerra e l’alienazione esistenziale della quotidianità impossibile è pressoché sicuramente il tema più interessante e “classico” di un film che Clint ha ereditato da Spielberg. Un film che, tra l’altro, appare sorta di summa del filone bellico e relative derivazioni, da I migliori anni della nostra vita passando per Il cacciatore e Tornando a casa fino a The Hurt Locker.

 

Ed è un film che, tuttavia, risulta del tutto eastwoodiano perlomeno per due motivi, l’uno estetico e l’altro etico. Come spesso gli accade in questa fase della carriera, Clint prende atto di ciò che accade in scena lasciando il giudizio morale al suo pubblico ed evitando la trappola del film a tesi. D’altro canto, il conservatore che è in lui emerge in maniera poco controllata, se non addirittura ingenua, nella rappresentazione patriottica di una storia discutibilmente eroica ma che appartiene alla mitologia di un popolo.

 

Ora, il problema che si pone è semplice: può l’evidenza di una narrazione così netta, e finanche divisiva, permettere un giudizio estetico che schivi l’inevitabile valutazione etica attorno ad un film del genere? Certo che si può. Si può, per esempio, discutere sull’assunto di fondo, condivisibile o meno (il patriottismo esasperato di una nazione che si pone sempre dalla parte del giusto in nome della propria potenza), ma non ci si allontana dalla chiacchiera da bar o dalla fascinazione della guerra eccetera.

 

E quindi, come perdonare ad un asciutto metteur en scène come Clint robe come la telefonata sotto le bombe (tra gli effettacci peggiori) o derive splatter poco convincenti (la trapanata che funzionava comunque senza la sua messinscena), che sono anzitutto interpretazioni grossolane di una sceneggiatura sfilacciata e retorica in cui tutto è prevedibile nel suo districarsi tra vittime nel centro del mirino e cameratismo d’antan. Naturale che in generale il suo sguardo si mantenga quello cui ci ha bellamente abituato, specialmente in certi momenti a casa (il party col cane) o qualche episodio sui tetti, solo che mi sembra gli manchi il controllo emotivo della vicenda (i bambini nel mirino).

 

Che vuol dire? Vuol dire che resta un grande regista alle prese con un proprio discorso (le responsabilità dell’uomo e i tormenti di una comunità) che resta ingabbiato nelle maglie di una storia un po’ monotona cui manca un vero nucleo vitale (ad esempio: il duello col cecchino nemico non funziona in una dimensione “mitica”), che non sa trovare bene la tensione adeguata se non dilatando noiosamente l’attesa, che affida buona parte delle responsabilità all’impegno titanico di Bradley Cooper (che forse l’ha prodotto ed interpretato come ideale veicolo per un Oscar).

 

Il fatto che racconti una storia probabilmente non condivisibile non significa che il film sia non condivisibile, non è nemmeno questione di fascinazione del male e via dicendo, sono cose che vanno lasciate ai dibattiti scolastici o alle terze pagine di Repubblica. Il fatto è che American Sniper sarebbe semplicemente un classico film di guerra e ritorno, anche più che discreto nel suo genere, se non fosse altresì il film monocorde e trito di un regista che ci ha abituato ad alti ed altri livelli.

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