Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
L'Eastwood peggiore.
Il grande regista statunitense getta il suo sguardo mummificato (da ere di propagazione militarista e divina auto-elezione a popolo di cani pastori a difesa del mondo di pecorelle) per consegnarci un "film" dichiaratamente e apertamente politico, schierato, cazzuto; un monolito scagliato in faccia a chicchessia con la furia cieca di chi ha la consapevolezza di essere, senz'ombra di dubbio alcuno, nel giusto. Sempre e comunque.
Ma più che un film, è un manifesto identitario, un atto di propaganda, un documento tombale sul quale sono incisi con il sacro piombo i valori di una nazione intera, della sua gente, delle sue sacre guerre.
American Sniper non mostra pieghe né distorsioni o falle - il lato oscuro - del "grande" sistema (e men che meno lo fa la solita minestrina sui disturbi post traumatici), né se ne interessa, d'altro canto; congelato, com'è, in un comatoso immaginario collettivo già fissato da decenni di cinema di genere (e negli anni recenti, anche da serie televisive, ad esempio Homeland) - e quasi sempre meglio - e immediatamente identificabile (il padre rigido, l'anima da cowboy, l'addestramento, i compagni d'armi, l'aldiqua terragno incomprensibile ma protetto e l'aldilà vivo e d'azione del "noi contro loro"). Oggetti lanciati, anche attraverso simbolismi facili facili e punti di istantanea risposta sul campo (le torri gemelle abbattute) come proiettili di fucile sparati con precisione (leggi: come canoni dei film di guerra impongono) e con la volontà, unica, non di spiegare, o di eseguire una partitura complessa per ragionare d'altro e su altro, ma semplicemente di affermare uno status. Il "loro", quello giusto, ovviamente. Come un tatuaggio di appartenenza, una tacca in più sull'arma preferita.
Raccontato e raccordato in maniera banale, prevedibile, convenzionale (ivi compreso il "rifornimento" sentimentale, stucchevole e subordinato, riempitivo), con palese incapacità di accendere la benché minima miccia di originalità, American Sniper si nasconde dietro la storia dell'uomo, Chris Kyle, dei suoi "tormenti" (di riporto pure quelli, e d'altronde risolti/ridotti in un lampo: il ritratto della famigliola felice, dell'America votata a baluardo contro i lupi terroristi, deve pur ricomporsi) e, come un bravo cecchino, dall'alto, scarica le sue pallottole per la causa.
Non assolvono - nemmeno in minima parte - dal becero baratro ideologico in cui s'è precipitato con fare fiero e modi discutibili il vecchio Clint, né la performance "immersiva" di un Bradley Cooper convinto ma efficace fino ad un certo punto (tra l'altro circondato di volti/soldatini anonimi per dargli maggior risalto, forse), né la discreta fattura media realizzativa dell'opera stessa (una sola scena valida: lo scontro a fuoco nelle oscurità della tempesta di sabbia/polvere): tanto per fare un nome, la perfezione tecnica, stilistica ed estetica di Black Hawk Dawn è lontana anni luce. Nemmeno "la leggenda" Chris Kyle avrebbe potuto colmare la distanza ...
Le didascalie e le immagini sul finale, che informano sul "vero" Chris, tolgono ogni dubbio: ok, sarebbe bastato un qualunque documentario.
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