Regia di Henry Hobson vedi scheda film
Scommessa di Arnold Schwarzenegger, non saprei come altro definirla, che produce un ennesimo film sugli zombie e affida la regia a un title designer al debutto alla regia cinematografica e la sceneggiatura a uno individuo (tale John Scott III) senza precedenti lavori e di cui non si saprà più nulla (sara un nome di comodo?). Sulla carta è un film non troppo accattivante, eppure colpisce per la scelta di trattare la tematica con un taglio estremamente lento e la volontà di non spettacolarizzare il tutto. Ne viene fuori uno degli horror più tragici in assoluto. Più che impaurire o caricare di tensione lo spettatore, aspetti comunque presenti, è un film che suscita tristezza e disperazione. Il plot usa la metafora della piaga zombie per parlare di altro, addirittura con accenni all'eutanasia o a tutte quelle malattie che, giorno dopo giorno, consumano dall'interno un figlio sotto gli occhi impotenti dei genitori. Ci sono anche rimandi a situazioni tutt'altro che simpatiche legate alla pratica dei "Trattamenti Sanitari Obbligatori" con il paziente che si rinchiude in camera e non vuole uscire, tanto da costringere le forze dell'ordine a sfondare le porte. Schwarzenegger dimostra di crederci, offrendo l'interpretazione più intensa della sua carriera. Ormai attempato, non ricorre più ai muscoli o alle tradizionali battute ricolme di ironia, ma veste i panni del genitore che, nella tragedia, cerca di rincuorare la figlia colpita dal morbo e prossima a tramutarsi in zombie. E' dunque nelle interpretazioni e nel taglio disperato, davvero ben riuscito e in salsa lacrima movie, il punto di forza di un film. Una pellicola non certo per adolescenti o per chi sia alla ricerca di un prodotto di evasione. Definirlo "horror" pertanto è, a mio avviso, riduttivo e la cosa si riflette nel modesto incasso. E' un film infatti che si presenta per una data fetta di pubblico che poi, in buona parte, non può supportarlo perché non aderente ai canoni tipici del genere. Dato il periodo storico che stiamo vivendo, la pellicola si carica di ulteriori significati non volontariamente ricercati, eppure presenti (si parla di coprifuoco, pandemia, quarantena, isolamento in ospedale senza poter vedere i parenti). Discreta la colonna sonora, forse un po' troppo cupa la fotografia. Schwarzy vince la sua scommessa e noi lo promuoviamo pur nella lentezza estrema del ritmo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta