Regia di Henry Hobson vedi scheda film
L’epidemia dilaga e le città appaiono come epicentri di desolazione ed abbandono, dove i negozi semi svuotati da razzie e ruberie, lasciano fuoriuscire parte di ciò che resta della loro mercanzia, mentre ovunque fumo, disordine, ammassi aggrovigliati di lamiere d’auto incidentate impediscono una circolazione lineare ai pochi automezzi che ancora osano solcare i viadotti cittadini.
Il mondo, o parte di esso, è afflitto da una pandemia che ha trasformato gli esseri umani in zombie, trascinandoli in un processo regressivo inesorabile ma non immediato che li trasforma in esseri istintivi e violenti, non pensanti ma reagenti, che attaccano e sbranano ogni forma di vita che si si pone innanzi.
Il governo tuttavia dopo mesi è riuscito ad isolare gran parte dei contagiati terminali in appositi centri ove vengono gestite le fasi finali del processo di trasformazione, ed eliminati gli elementi una volta che raggiungono la conclusione della micidiale metamorfosi.
Così facendo l’epidemia registra un calo del 30%, come si apprende dal notiziario che ascoltiamo nel viaggio che ci accompagna assieme al protagonista della pellicola: un padre che finalmente riesce a trovare, dopo ricerche affannose ovunque, l’adorata primogenita, contagiata per circostanze non meglio specificate se non per una ferita al braccio. L’uomo, un vedovo che ha altri due figli dalla seconda ed attuale moglie, riporta a casa la ragazza per trascorrere le ultime due settimane che restano prima che la stessa venga condotta al centro di cura terminale.
Ovviamente il padre non può accettare che alla figlia non resti altra scelta che quella di essere sacrificata per il bene e la sopravvivenza dell’umanità non ancora infetta, e si oppone all’inesorabile, inevitabile condotta forzata da parte di un’autorità che non può permettersi di forzare delle regole.
Contagious, che in originale porta, con un po’ più di originalità, il nome della giovane protagonista infettata, “Maggie” appunto, parte bene, pur se non certo in modo originale, rappresentando un mondo alla deriva visto in molte altre occasioni, specie ultimamente, ma sempre piuttosto suggestivo, affascinante ed ovviamente inquietante.
Poi il film, come a volersi distaccare e rinnegare il genere e le sacrosante regole canoniche dell’horror, tende a sviare puntando l’attenzione sull’aspetto umano, familiare, introspettivo, piuttosto che chiarire o soffermarsi su aspetti invitanti come la gestione pratico sociale di questi veri e propri lager dove vengono “parcheggiati” fino alla metamorfosi i futuri mostri famelici ed ingovernabili.
E se, come già in quasi tutti i notevoli capitoli romeriani, la riflessione si sposta presto sul lato politico-sociale, razziale, discriminatorio che fa dei mostri dei malati ghettizzati, o riflette sullo status dei superstiti sani, che, in quanto minoranza, si trovano ghettizzati a loro volta in un mondo che ha cambiato regole di vita, morali e materiali, qui in Contagious il rinchiudersi nell’ambito familiare finisce per tarpare le ali ad una pellicola inizialmente assai appetitosa e promettente.
Di certo per il colosso Swarzy, viso barbuto più disteso, affascinante e giovanile che in quasi tutti i precedenti film(etti) che lo hanno visto tornare sul grande schermo dopo il decennio sacrificato a governare la California, “Maggie” rappresenta una svolta, una piacevole sorpresa, una maturazione, ed una delle sue interpretazioni più interessanti ed emotivamente convincenti della ormai lunga carriera di attore e divo.
Funzionale al ruolo, ma sin troppo costretta in situazioni imbarazzanti al limite della melensaggine che uccide la tensione e la carica drammatica necessaria e pertinente, troviamo la brava Abigail Breslin, visino tenero, arrendevole ma sempre dolce di chi ha ben presente l’amaro destino che si scorge dietro l’angolo.
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