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Contagious

Regia di Henry Hobson vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Contagious

di amandagriss
9 stelle

 

Eutanasia di un amore

 

locandina

Contagious (2014): locandina

 

Guardando uno zombie movie, uno qualsiasi, arriva -sempre- il fatidico momento in cui un personaggio deve ammazzare (colpendolo dritto alla testa) un compagno fino a quel momento sopravvissuto con lui alla mattanza di carne fresca messa in atto dalla classica orda di ‘ritornanti’.

Quel momento ha la durata di un attimo, è quasi una reazione automatica se non istintiva, dettata dal tenersi salva la pelle, che non contempla alcuna implicazione emozionale e, quindi, nessuna esitazione nel premere il grilletto.

Sappiamo bene, infatti, che il ‘contagiato’, l’’infetto’ smette di essere umano per assumere le fattezze di un raccapricciante e letale mostro primitivo cannibale che è meglio per tutti fare fuori senza battere ciglio.

Alcuni film del filone aggiungono una manciata di secondi in più a quell’attimo, nel tentativo spesso riuscito (sempre nel rispetto dei tempi canonici imposti dal genere) di conferire un minimo di spessore psicologico ai personaggi chiamati ad assolvere l’ingrato ma anche catartico compito di sbarazzarsi della mela appena marcita.

Certo, la cosa si complica quando il contagiato è un parente stretto (un fratello, un genitore, un figlio) o l’amico di una vita o la persona di cui si è innamorati.

E possono subentrare finanche questioni etiche, in fondo il ritornante è comunque un essere umano, uno come noi soltanto più sfortunato; si potrebbe tentare di conviverci adottando le adeguate precauzioni, perché non possiamo voltargli le spalle, non siamo più dei selvaggi ma un popolo civile e compassionevole.

In materia di zombie (loro gestione ed eliminazione) pare proprio che tutte le strade siano state battute, compresa quella scanzonata e irriverente, dove i morti viventi vengono trucidati sadicamente e col sorriso sulle labbra a mò di gara di tiro al bersaglio oppure attraverso soluzioni assassine alquanto creative e, francamente, assai divertenti.

Eppure, almeno a memoria di chi scrive, non si è mai pensato di dilungarsi più di tanto su quel fatidico momento, fino a creare una sorta di storia nella storia.

Imbastendo una riflessione attenta e minuziosa su cosa passi per la testa e, principalmente, nel cuore di chi armerà la propria mano, ma anche nella testa e nel cuore di chi riceverà il colpo sapendo di morire.

Ebbene, con Contagious (Maggie, il titolo originale) l’attimo del trapasso + trasformazione con conseguente pallottola ben assestata si dilata oltremisura, cristallizzandosi.

Il tempo necessario perché la storia venga raccontata.

 

Un oggi indefinito.

Ovunque morte e distruzione.

Una fattoria nel mezzo del nulla.

Un padre e una figlia adolescente.

Un morbo necrotizzante sta lentamente trasformando la ragazza in uno zombie.

Dopo il ricovero in ospedale, un paio di settimane soltanto, prima che l’infezione progredirà irreversibilmente e pericolosamente da costringere l’uomo a chiudere definitivamente la partita che la morte sta giocando con sua figlia.

Dovrà scegliere se mandarla in quarantena, tra migliaia di infetti sconosciuti che finiranno per divorarsi a vicenda o ‘agire’ personalmente.

Lei vedrà il suo corpo morire, pian piano, la candida pelle annerirsi, le dita marcire, le iridi sbiadire, i polmoni collassare e il respiro affannoso mutare in un sinistro, interminabile, assordante rantolìo.

I sensi acuirsi, l’olfatto su tutti.

La pelle umana emanerà l’odore di una grigliata all’aperto, troppo appetitosa e invitante per non buttarcisi a capofitto.

 

Al contrario di quanto i film horror ci hanno sempre mostrato, in questo dramma familiare che si smarca intelligentemente dal genere, diventare uno zombie non significa annullarsi come essersi umani.

Si continua ad essere se stessi, a vivere come si è sempre vissuto.

Nella dimensione del proprio quotidiano, intorno al tavolo da cucina, nella propria stanza, tra gli amici di scuola, a dire, fare, baciare, piangere, ridere, leggere un libro, dipingersi le unghie, parlare al telefono, dondolarsi sull’altalena.

E mentre la malattia degenera, si rimane coscienti fino all’ultimo istante.

Soffrendo terribilmente fino all’ultimo istante, prigionieri agonizzanti di un corpo repellente fuori controllo in preda ad un incontenibile mordace istinto ferino.

 

Contagious è un’operazione singolare, affascinante e parecchio interessante.

Un film piccolo e minimale, profondamente intimistico, che non perde mai di vista i suoi personaggi, li segue attento, ognuno nel proprio percorso di umana sofferenza.

Lasciandosi guidare da uno script di rara bellezza e sensibilità, si dimostra abile nel trasferire agli ambienti, arrivando a noi, l’angoscia del presente e della fine, nonché l’immenso terrore che ciascuno dei protagonisti si porta dentro.

Il lavoro sulle atmosfere e sul sonoro ben rendono quel senso di claustrofobico squallore e mesta rassegnazione di cui è pervasa l’intera opera, fondamentalmente semplice eppure complessa, perché ad essere complesse sono le emozioni con cui si confronta, sempre ben calibrate, sempre gestite lucidamente.

I ritmi lenti ma mai noiosi scandagliano gli animi, i pensieri, gli umori, il vissuto in apnea, e diremmo al rallentatore, di questo ridotto nucleo familiare (in cui facilmente possiamo ritrovarci) di fronte ad un’immane tragedia in atto, dove per tutti non resta che l’attesa; aspettare inermi la fine, soffocati/annichiliti dall’idea di trovarsi, di lì a poco, a dover gestire il momento estremo, l’attimo -devastante- del distacco.

Lo stesso, già visto accadere in altre case, in altre famiglie.

E, con un macigno sul petto che rende pesante ogni singolo respiro, come costretti in un magmatico pantano, sapere di essere i prossimi.

Di non poter sfuggire, in nessun modo, ad un destino già scritto, per il quale una persona morta ancora cammina, ancora respira. Ancora vive.

Così, il cinema dell’orrore si fa nuovamente strumento per trasfigurare il reale.

Mezzo per elaborare un trauma.

Magari proprio un lutto. Alla cui origine, una qualsiasi malattia mortale al suo stadio terminale.

E come per ogni malattia che non lascia scampo, viene lecito pensare di mettere la parola fine in fretta, saltando le tappe del suo inesorabile, straziante decorso.

Arrendersi prima del tempo.

È un gesto codardo o coraggioso?

Sicuramente liberatorio.

 

Arnold Schwarzenegger, Abigail Breslin

Contagious (2014): Arnold Schwarzenegger, Abigail Breslin

 

Empatizzare con uno zombie. E chi l’avrebbe creduto possibile.

Bellissimo.

 

 

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