Regia di Mikael Marcimain vedi scheda film
Sulla carta prometteva un gran bene questo film di Mikael Marcimain, che ritorna al Festival di Torino dopo “Call girl” (2012) con una storia al cui interno si ritrovano la Storia (volutamente con la “s” maiuscola), amori tormentati, cospirazioni, uno scenario jazz tra locali lontani dalla mondanità e tanto altro ancora.
Purtroppo si fa prendere la mano, o forse semplicemente ha pensato troppo in grande.
Difficile dare una forma alla trama in poche righe (per cui evito accuratamente), per una sceneggiatura colma di eventi, ma che appare altrettanto problematica da inquadrare nelle infinite derive che vedono protagonisti diversi in situazione che spaziano avanti ed indietro nel tempo senza nessuna pietà (per lo spettatore prima di tutto).
Sicuramente sono di pregio tutte le componenti tecniche, l’ambientazione è molto curata, così come lo è la fotografia sia quando la pellicola si avvale del bianco e nero, sia quando si utilizza una forma espressiva più convenzionale.
Per questi motivi scaturisce un po’ di sana invidia, qualora si pensasse (ed il film ad un certo punto diventa talmente dispersivo che si trova tranquillamente il tempo per farlo) che in Svezia è possibile pensare e portare a termine un’opera così imponente cosa che in Italia nemmeno ci possiamo più sognare.
Certo poi la realtà dei fatti ci riporta sulla terra ferma (ma il ragionamento appena fatto continua a valere) visto che tutto questo sforzo (e sfarzo) finisce vanificato da 140 minuti cha appaiono sfiancanti, cioè si sentono proprio tutti, per non dire che sembrano anche molti di più.
Insomma la montagna ha dato luce ad un topolino, non bastano alcune scene molto emozionanti (sul lato sentimentale vi è un amore impossibile, più volte disperato), la musica jazz, con le atmosfere curatissime che ci si aspetta di vedere (e che si vedono) e comunque diversi frangenti medio/piccoli capaci di comunicare sensazioni anche distanti, perché poi tutto è annacquato da una trama contorta e pure ripetitiva (penso alle dipendenze di alcuni personaggi) in grado di debilitare anche il più volonteroso degli spettatori.
Un’opera quindi incomprensibile per come è stata realizzata, che lascia l’amaro in bocca, perché di cinema ce ne è pure molto, ma poi il potenziale ampio respiro ha la peggio nei confronti di un’ideazione più grande di quanto fosse possibile concepire.
Esasperato.
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