Regia di Gabe Ibáñez vedi scheda film
Vaucan: Credevo che voi doveste aiutarci a sopravvivere.
Robot: Sopravvivere non è rilevante. Vivere lo è. Noi vogliamo vivere.
3 anni dopo EVA di Kike Maìllo, arriva da un altro autore spagnolo un nuovo interessante film di fantascienza "umanistica" in cui si parla del rapporto fra uomo e robot. Là l'umanità aveva raggiunto con le Intelligenze Artificiali un equilibrio gentile, una tecnologia amica aveva portato a un'Età dell'Oro in cui l'Uomo viveva in una natura rispettata e pacificata. Qui invece l'ecosistema terrestre è vicino al collasso.
In un prossimo futuro l'intensificarsi delle tempeste solari, sommato ad un incosciente inquinamento, ha trasformato la superficie della Terra in un deserto radioattivo e la popolazione è sulla via dell'estinzione, ridotta a soli 21 milioni di persone. Alcuni privilegiati vivono al sicuro in piccole città-fortezza, il resto sopravvive in miserabili bidonville. Le turbolenze magnetiche hanno reso inutilizzabili molti sistemi di comunicazione, spingendo progressivamente la civiltà verso un'involuzione tecnologica fatta di cercapersone e stampanti ad aghi, in un'atmosfera di paura e disperazione.
I Pilgrim 7000 erano automi progettati dalla ROC (Robot Organic Century) per costruire mura destinate a proteggere gli umani dal deserto e nubi meccaniche che ricreassero la pioggia. Falliti entrambi i progetti, ora ci sono milioni di robot che lavorano nelle case e nelle fabbriche. Sono controllati dall'uomo mediante due inalterabili protocolli di sicurezza: il primo vieta ai robot di danneggiare, anzi li obbliga a proteggere, qualunque forma di vita, dotandoli di qualcosa di simile alla gentilezza e alla fedeltà. Il secondo protocollo impedisce loro di modificare se stessi o altri robot.
Jacq Vaucan è uno dei fortunati, ha un buon lavoro e sua moglie è incinta. E' ispettore assicurativo, suo compito è controllare le richieste di risarcimento per danni provocati da unità robotiche difettose prodotte dalla ROC. Un giorno Wallace, un poliziotto di pattuglia, sorprende un robot intento a ripararsi da solo e reagisce istericamente sparandogli. In officina viene accertato che nell'unità sono presenti ben 25 pezzi con matricole di altri robot. Un altro automa difettoso fugge da Vaucan che lo insegue e preferisce darsi fuoco piuttosto che farsi catturare. Hanno qualcosa in comune: ai cervelli di entrambi è stato rimosso il secondo protocollo. Ma non era impossibile? Vaucan si mette alla ricerca di un cibernetico clandestino chiamato l'Orologiaio, l'unico che potrebbe essere riuscito a farlo. E scopre qualcosa di inimmaginabile, che è iniziato e difficilmente potrà essere fermato.
L'impianto del film è quello classico del noir: un caso all'apparenza banale si rivela poi molto più complesso. Ruota intorno al personaggio di Jacq Vaucan (un convinto e convincente Antonio Banderas, anche entusiasta produttore del film): non è un eroe, lavora in un mondo che sta cadendo a pezzi e si sente impotente e depresso per ciò che vede intorno a sé. Sta per diventare padre e vive con ansia il conflitto fra la paternità e il mondo in rovina, al contrario della moglie Rachel (una solare Birgitte Hjort Sørensen), ottimista e piena di speranza. Un altro personaggio "femminile" positivo è Cleo, androide con funzioni superiori miseramente finita a lavorare in un bordello, che ha sviluppato un suo punto di vista sugli uomini ed ha come tutti i robot un senso morale superiore a quello di molti esseri umani. Superiore di certo a quello del poliziotto Wallace (Dylan McDermott, davvero cattivissimo) che rappresenta il genere di persone per le quali ciò che è differente va semplicemente soppresso, non accettando nessun tipo di diversità.
AUTÓMATA si presenta come una combinazione di BLADE RUNNER e I ROBOT, paragone inevitabile quando si parla di distopie con protagonisti dei robot umanoidi: lo sceneggiatore e regista Gabe Ibáñez non lo nega, in questo non ha pretese di originalità. Quello che cambia è lo sguardo. È la storia del primo scimpanzé che un bel giorno decise di scendere dal suo albero.E' un film sull'Intelligenza Artificiale e sul concetto di singolarità tecnologica: cioè quel punto nello sviluppo di una civilizzazione, previsto in futurologia, in cui il progresso tecnologico accelera oltre la capacità di comprendere e prevedere degli esseri umani moderni. Che cosa potrebbe accadere se l'Intelligenza Artificiale arrivasse allo stesso livello di quella umana, o la superasse? Quali progressi tecnologici ne seguirebbero? E non è probabile che una Intelligenza Artificiale superintelligente, semplicemente cercherebbe di eliminare l'intellettualmente inferiore razza umana? E gli umani sarebbero capaci di fermarla?
Girato in Bulgaria, fra vecchie miniere e residuati industriali, e con un cast di buoni attori internazionali ma non grandi star, AUTÓMATA è un film low budget che non pretende certo di dare risposte a simili epocali interrogativi. Il regista Gabe Ibáñez ha un passato di tecnico degli effetti speciali, ma per i robot ha preferito optare per manichini a grandezza naturale anziché affidarsi totalmente al CGI; e sembrano ancora più reali proprio perché goffi e un po' ammaccati. Non aspettatevi nemmeno grandi scene d'azione, ridotte al minimo. Tutte le suggestioni e le emozioni sono vecchio stile e basate sui contrasti: le atmosfere cupe e i sotterranei rugginosi della città, contro la luce abbagliante del deserto dove vanno a rifugiarsi i robot fuggitivi; il dissolversi fisico e morale della comunità umana contro il nascere del concetto di identità e del desiderio di evoluzione e continuità fra i robot. E' un solido B-movie di genere che con qualche soldo in più avrebbe potuto essere un piccolo capolavoro. Ma fa riflettere e porre delle domande, e questo non è poco.
(pubblicato in precedenza su www.masedomani.com)
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