Regia di Robert Zemeckis vedi scheda film
Il 7 Agosto 1974 a New York si realizzò una delle imprese più famose e assurde della storia dell’umanità. Il funambolo francese Philippe Petit attraversò su un cavo d’acciaio, sospeso nel vuoto, senza protezione alcuna, la distanza che separava le Twin Towers. A questo episodio, dopo il documentario premio Oscar di James Marsh del 2009 “Man on Wire”, viene dedicato un lungometraggio di finzione che porta la firma del maestro Robert Zemeckis.
Il film di Zemeckis parte da lontano raccontandoci velocemente la storia di Petit, com’è nata la sua passione per questo mestiere, la fasi di maturazione dell’artista, gli incontri che sono stati determinanti per la sua crescita professionale fino ad arrivare alla fase preparatoria per la grande impresa. Fino a qui, pregi e difetti. Si perché il buon ritmo della pellicola si scontra con una sceneggiatura a tratti un po’ debole che sbrigativamente ci presenta alcuni personaggi secondari della vicenda che non vengono caratterizzati come dovrebbero, tanto da risultare quasi superflui all’interno della storia, ma inseriti per rispettare evidentemente la verità di come si sono svolti i fatti. E’ innegabile una certa superficialità di scrittura, come se sceneggiatori e regista avessero fretta di arrivare a raccontarci e mostrarci quello che più ci interessa, la camminata tra le torri gemelli che rappresenta poi la ragione dell’esistenza della pellicola stessa.
Se fino a qui quindi la pellicola traballa un po’ sul filo della narrazione, la parte finale invece è perfetta e ci lascia senza fiato, ovvero dove il film deve funzionare, nella sua parte più attesa e interessante, funziona alla grande. Viene in soccorso sia la tecnica artificiale del 3D che contribuisce a dare un senso di vertigine mai provato prima in una sala cinematografica, sia quella concreta e tangibile di Zemeckis dietro la macchina da presa che ci regala davvero momenti di grande cinema. In particolare è lodevole la sua capacità di dare razionalità a un gesto che apparentemente non la possiede, ma che fa proprio della sua spericolatezza e non-sense la sua forza e soprattutto la sua bellezza.
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