Regia di Isaac Ezban vedi scheda film
Tentativo di parafrastica rivisitazione dickiana del Ritratto di Dorian Gray: qualcuno soffre al nostro posto. A meno che quel qualcuno - sillessi sineddotica - non eravamo, siamo, saremo, saremmo e fossimo noi stessi...
The illusion of motion.
Anche voi avete incominciato a non sentirvi più quelli di una volta? Tic-tac, tic-tac... E poi vi s'imbiancano le tempie? Vi pesano le sconfitte? Eh?
L'opera prima nel lungometraggio - dopo una serie di corti, tra i quali uno contenuto in “México Bárbaro” - del regista, sceneggiatore e produttore di Città del Messico Isaac Ezban, classe 1986 - che in seguito dirigerà “los Parecidos” e “Parallel” (di prossima uscita) - è sostanzialmente suddivisa in 3 parti - più prologo, epilogo e post-epilogo dopo i titoli di coda, quest'ultimo ininfluente ai fini della risoluzione della trama grezza (un po' come in “les Affamés”), ma non dal PdV “morale” -, ognuna di esse bipartita: la prima dispiega gli incidenti, li (ri)percorre, presenta, analizza, e contiene dei piccoli, piacevoli difetti (che dal 9 si passi all'1, che scendendo si rispunti dall'alto e viceversa, che lasciando cadere un mazzo di chiavi poi ripiombino dal soffitto, son cose tanto prevedibili quanto gradevoli da veder accadere confermandosi), la seconda è molto bella, dolorosa, allucinante, insanabile, e la terza cerca di sciogliere i nodi (o, meglio, “al contrario”, annoda fili sparsi e invisibili), macchinalmente (con l'utilizzo di uno spiegone bellamente, quasi, insostenibile, questo occorre sottolinearlo) piuttosto che macchinosamente [splendide le carrellate laterali dx/sx (una mechanè al lavoro orizzontalmente), con panoramiche a schiaffo sull'...altra parte], e infatti la semplicità del meccanismo risulta ben assimilabile e comprensibile (un Escher lineare…) ed è anche supportata da una morale esistenziale che, però, s'appoggia troppo ad una speculazione filosofica quasi fideistica e poco scientifica, persa tra un razionalismo castrato dall'introduzione di un deus ex machina...deistico e un determinismo malamente facilitato (sospensione di giudizio sull'Illusione del Libero Arbitrio) e ridotto a termini non minimi ma minimali che riduce e piega la Natura a una Saggia Provvidenza che deve mantenere l'Equilibrio Cosmico a colpi di frusta purgatoriale e infernale: Spada e Bilancia, Specchio e DoppelGänger.
Dal canto mio, se voi vi sentite usurati già a 35 anni passeggiando lungo il cammin di vostra vita, io sono (continua ad essere) uno splendido quarantenne.
Late fate...
Tra stile e contenuto, forma e sostanza, un po' “Moebius” (Gustavo Mosquera R. e gli studenti della Universidad del Cine di Buenos Aires, 1996, da un racconto di Armin Joseph Deutsch del 1958) e un po' “Cube” (Vincenzo Natali, 1997), con sprazzi di “Fin” (Jorge Torregrossa, 2012, dal romanzo omonimo di David Montegaudo del 2009), “die Wand” (Julian Pölsler, 2012, dal romanzo omonimo di Marlen Haushofer del 1963) e “les Revenants” (Fabrice Gobert, 2012/2015), ed echi di “Leones” (Jazmín López, 2012) e “Never Let Me Go” (Mark Romanek e Alex Garland, 2010, dal romanzo omonimo di Kazuo Ishiguro del 2005), ché davvero non vorrei qui scomodare “l'Année Dernière à Marienbad” (Alain Resnais e Alain Robbe-Grillet, 1961, da “la Invención de Morel” di Adolfo Bioy Casares del 1940), ma nemmeno “Magnolia” (P.T. Anderson, 1999) ed “Inception” (Christopher Nolan, 2010) o il cinema politico del connazionale Carlos Reygadas; nulla c'entra invece l'omonima serie tv spagnola di ArtesMedia creata da Ruth García nel '17.
Fotografia di Rodrigo Sandoval, montaggio di Salomón Askenazi, musiche di Edy Lan, scenografie di Adelle Achar, location in Hidalgo, Mexico.
Le intenzioni sono buone, il risultato no: la prima parte sinceramente intriga ingenuamente, la seconda riesce a creare disagio e terrore, la terza sfocia in un nulla di fatto in cui tutte le tessere cadono al loro giusto posto, quello sbagliato, e niente ha ragion d'essere (stato).
“L'uomo con la torcia colorata aveva una straordinaria somiglianza con Walter Keitelbein. Infatti, era Walter Keitelbein.”
P.K. Dick - “Time Out of Joint” - 1958
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