Regia di Gus Van Sant vedi scheda film
Esistono due versioni di Gus Van Sant. La prima, celebrata e di culto è quella di un regista che ha il coraggio di ampliare i confini del proprio lavoro concependo il cinema come laboratorio in cui sperimentare nuovi tipi di linguaggio in cui trovano compimento opere del calibro di “Drugstore Cowboy”, “Gerry” e “Paranoid Park”. La seconda, più addomesticata e attenta ai bisogni dello spettatore si concede il lusso di cimentarsi in progetti altrui, cercando di conciliare la forme del cinema classico con la profondità di sguardo delle macchina da presa. Come abbiamo visto negli acclamati “Good Will Hunting”, “Cercando Forrester”. A quest’ultima categoria appartiene a pieno titolo “La foresta dei sogni”, il film che Van Sant ha presentato nel concorso ufficiale dello scorso festival di Cannes riscuotendo un coro pressochè unanime di critiche. La storia del film é presto detta perché il fulcro della vicenda si concentra per la maggior parte nell’unità di luogo rappresentata dalla foresta del titolo situata alle pendici del monte Fuji in Giappone dove il professore di matematica Arthur Brennam ha deciso di lasciarsi morire per sfuggire al dolore che lo tormenta. In tale contesto si verifica l’incontro con il misterioso viandante che nel tentativo di dissuaderlo dal folle gesto spingerà l’uomo a riconsiderare quella parte dell’esistenza che è fonte della sua afflizione.
Concepito alla maniera di una Divina Commedia contemporanea, con la foresta del titolo animata da elementi che trascendono la dimensione del reale per collocare i protagonisti in una sorta di moderno purgatorio, “La foresta dei sogni” si immerge nelle cose terrene con una sacralità che si manifesta non solo nelle allusione alla spiritualità orientale di cui il personaggio interpretato da Ken Watanabe si fa promotore. Perché il valore attribuito alla presenza dell’altro diventa nel corso della storia la chiave di volta per trovare una risposta al senso ultimo dell’esistenza umana che Van Sant cerca e forse trova all'interno delle dinamiche della coppia borghese - ed è forse questa la cosa che è piaciuta di meno agli estimatori del regista -qui rappresentate dalle vicissitudini matrimoniali dei coniugi Brennam, ricostruite mediante una serie di drammatici flashback. Utilizzando alcuni degli stilemi più frequenti del suo cinema, ravvisabili nella struttura itinerante del racconto e nell'utilizzo empatico del paesaggio, La foresta dei sogni” pur nella convenzionalità della messinscena risulta tanto più coinvolgente quanto più da modo a un grande Matthew McConaughey di trasportarci nel cuore della storia. Le emozioni che procura la sua interpretazione valgono da sole il costo di un biglietto.
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