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Il terzo uomo

Regia di Carol Reed vedi scheda film

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La recensione su Il terzo uomo

di Fabelman
10 stelle

Il fascino del mistero legato al carisma di Orson Welles, il fascino del bianco e nero messo in mano ad un’espressione artistica di regia, il fascino del noir posizionato in un contesto storico drammatico e scandito da drammatici risvolti. Una pellicola a suo modo poetica, di fascino appunto.

1946. Vienna. Gli Alleati controllano 4 zone distinte della città. La popolazione cerca di risollevarsi tra le macerie materiali e finanziarie post-belliche. Un dramma sanitario si fa largo progressivamente tra le pieghe della trama.

Una trama sorta dalla penna di Graham Greene.

Una pellicola diretta da Carol Reed.

Un controverso e misterioso co-protagonista che prende anima e corpo da Orson Welles.

E va da sé che quando c’è la presenza di Orson Welles la sua influenza varca (di molto) i confini della sfera attoriale. . .c’è la sua mano sia alla regia che nei dialoghi quantomeno.

“Il terzo uomo” (da cui è stato tratto il romanzo di Greene, e non viceversa) è quanto di più elevato il genere noir abbia mai prodotto.

Una delle migliori espressioni di regia che una pellicola abbia mai regalato, una splendida fotografia in bianco e nero esaltata dalle maggiori sequenze girate in notturno, una colonna sonora di livello firmata Anton Karas.

Lo straordinario uso del gioco di luci e ombre assegna alla leggenda determinate sequenze, con uno stile personalissimo e calibrato alla perfezione. 

La scena iconica nella quale Holly Martins rincorre per strada l’amico redivivo Harry Lime è semplicemente un capolavoro. . .sarà per l’inclinazione dell’inquadratura (il cosiddetto “angolo olandese”), sarà per il taglio europeo (più sassone che anglo in realtà), sarà per le ombre, ma oso fare un richiamo ad una pellicola che potrebbe suonare come un azzardo (ma per me il rimando c’è stato): “Il gabinetto del dottor Caligari”. Una vaga reminiscenza, la metto così.

Importante il tema che emerge alla base della deviazione morale del personaggio interpretato da Welles, un dramma sanitario come strascico di un’abominevole guerra che rende abominevoli alcuni uomini divenuti sciacalli indifferenti alle sofferenze e alla morte procurata.

Un po’ spaesato e spaesante, almeno inizialmente, il personaggio interpretato da Joseph Cotten, uno scrittore americano (dal presunto successo e dalla presunta fama) che giunge a Vienna nell’immediato dopoguerra per un’occasione di lavoro proposto dal suo migliore amico, uno scrittore che poi si improvvisa detective, che partecipa alle indagini e alle operazioni di cattura del suo amico scoperto corrotto. L’unico neo della sceneggiatura risiede nella delineazione e sviluppo del protagonista.

Incantevole Alida Valli, un personaggio dalle sfumature controverse e non del tutto espresse, volutamente represse e implose che creano il giusto alone di fascino e mistero intorno alla protagonista femminile del film.

Le disquisizioni di ordine morale espresse da Welles all’amico, ormai divenuto di intralcio non accettando il ruolo di complice di quelle orribili malefatte, sono notevoli.

Il piano sequenza finale è il giusto epilogo da antologia per una pellicola da antologia.

Una statuetta, agli Oscar del ‘51, meritatissima a Robert Krasker per la fotografia, più un altro paio di candidature non rendono il giusto merito all’immenso valore di questo titolo che ha fatto scuola; certo, bisogna tenere conto che in lizza c’erano capolavori del calibro di “Eva contro Eva” e “Viale del tramonto”, solo per citarne due. Un periodo nobile ed elevato per il cinema.

“Il terzo uomo” è un film impossible da non amare. . .forse gli unici a non farlo saranno gli svizzeri (che poi l’orologio a cucù l’hanno inventato i tedeschi). 

In fondo hanno ragione: Orson Welles avrebbe potuto almeno citare le banche o il cioccolato!

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