Regia di Carol Reed vedi scheda film
Uno dei noir più belli e celebri della storia del cinema, dominato dall’incombente ma elusiva figura di Orson Welles che vi compare come un lampo nelle tenebre.
Il terzo uomo (titolo originale “The Third Man”), forse il più famoso film inglese, è un noir girato dall’eccellente Carol Reed nel 1949 su di un soggetto di Graham Greene che ha anche contribuito alla sceneggiatura insieme con il regista, il produttore Alexander Korda e Orson Welles.
L’intreccio narra di uno scrittorello americano, Alga (nell’originale Holly) Martins (Joseph Cotten) che giunge a Vienna nell’immediato dopoguerra quando la città era amministrata dalle forze di occupazione, chiamato dall’amico Harry Lime (Orson Welles) per offrirgli un lavoro, ma, appena giunto, apprende della morte dell’amico in un incidente. Poiché le circostanze della morte, come descritte dal maggiore Calloway (Trevor Howard) e dal portiere dello stabile dove risiedeva Harry sono contraddittorie, decide di indagare per conto suo. Entra così in contatto con i viscidi amici e l’amante di Harry, Anna Schmidt (Alida Valli), ma si trova coinvolto in un pericoloso gioco più grande di lui …
Il punto focale del film, in cui tutte le linee narrative convergono, è l’elusiva e inafferrabile figura di Harry Lime, il “terzo uomo”, che dimostra la sua maligna grandezza teorizzando e giustificando l’opportunità del male che compie, mentre i suoi accoliti si limitano a praticarlo; il suo rapporto con le fogne di Vienna può essere visto come una metafora (non so se voluta) delle sue attività criminali: dapprima vi si muove liberamente ma alla fine ne rimane prigioniero senza poterne più uscire.
Al di là dell’intreccio, l’interesse del film va trovato anche nella descrizione del collasso del tessuto sociale e del decadimento dei valori morali, amare conseguenze della guerra appena conclusa: emblematico di questa straniamento, per cui niente e nessuno è ciò che era prima della guerra e dell’occupazione straniera, è anche il fatto che, sebbene la storia si svolga a Vienna, nessuno dei quattro protagonisti principali sia austriaco.
Carol Reed dimostra la sua abilità sviluppando la trama con ritmo sicuro, con colpi di scena ed emozionanti inseguimenti valorizzati da un montaggio serrato, utilizzando spesso inquadrature dall’alto in campo lungo e giovandosi della splendida fotografia in bianco/nero di stampo espressionista del grande Robert Krasker, premiato con l’Oscar. La musica, composta ed eseguita sulla cetra (strumento popolare a corde percosse o pizzicate di antica origine) dal musicista austriaco Anton Karas, contribuisce a dare al film la sua particolare atmosfera: ai suoi tempi il motivo conduttore (il c.d. tema di Harry Lime) era assai famoso ed eseguito. È stata ipotizzato l’intervento di Orson Welles nella regia: confrontando Il terzo uomo con il precedente Fuggiasco del 1947, non ho notato uno scarto stilistico fra i due film per cui, piuttosto che un intervento diretto, ritengo che Oliver Reed possa al più aver indirettamente tratto profitto dai capolavori di Welles (Quarto potere, L’orgoglio degli Amberson), oltre che dall’espressionismo tedesco e dall’emergente neorealismo italiano per la dovizia di riprese in esterni.
Uno dei pregi del film è l’ottima prova recitativa del quartetto dei protagonisti, fra le quali trovo di assoluto valore, oltre alle celebrate ma brevi apparizioni di Orson Welles, quella della splendida Alida Valli che dà una dolente e intensa umanità al suo complesso personaggio. Il cast è completato da ottimi caratteristi, fra i quali Bernard Lee, il sergente aiutante di Calloway, poi famoso come M nei film di 007, Paul Hörniger (il portiere), Sigfried Breurer (Popescu), Ernst Deutsch (il barone Kurz). Trovo che piccoli difetti del film siano i siparietti della padrona di casa di Anna, del tutto superflui, e la connotazione un po’ caricaturale del portiere di Harry, in realtà un personaggio drammatico.
Questo film ha un posto particolare nella mia memoria: era uno dei preferiti dei miei genitori che accompagnavo quando (come accadeva per i film famosi), nell’era della celluloide era riprogrammato con una certa frequnza, anche dopo diversi anni dalla sua uscita, spesso in fumose sale di periferia con i sedili di legno. Probabilmente allora non ci capivo un granché, ma mi rimasero fortemente impresse alcune scene, come le scene di azione, la ruota del Prater e, soprattutto, l’inseguimento nelle fogne (per fortuna i film sono inodori). Nel corso degli anni ho continuato a rivederlo, in tv e in dvd e, nonostante gli anni trascorsi e le diverse modalità di visione, sempre con immutato piacere e interesse, a testimonianza del grande valore del film.
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