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A call girl

Regia di Damjan Kozole vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su A call girl

di maurizio73
7 stelle

Studentessa di lingue a Lubiana, la giovane e bella Alexandra si trasferisce dalla provincia e arrotonda il magro sussidio che gli passa un padre separato e disoccupato, intrattenedo facoltosi clienti come escort di lusso. Quando uno di questi, un delegato tedesco alla commissione europea presieduta dalla Slovenia, viene ritrovato morto in un albergo, tanto la polizia quanto una coppia di pericolosi protettori che hanno intenzione di sfruttarla si mettono sulle tracce della misteriosa e richiestissima prostituta che si fa chiamare Slovenka.
Gia reduce dal successo festivaliero del dramma civile di un'emigrazione 'trans-istrianica' in 'Spare Parts' del 2003, il regista sloveno Damjan Kozole replica la sua attitudine alla descrizione di uno spaccato sociale dove emergono stridenti le contraddizioni tra le 'sirene' di una velleitaria ambizione europeista del suo paese e le condizioni di degrado culturale ed economico che ne afflingono tanto le grigia vita di provincia quanto il frenetico e abbacinante tran tran di una capitale caotica e proiettata verso una faticosa modernità. Prima e meglio del confuso (ed a tratti pretenzioso) psicodramma sociale della 'Jeune et Jolie' del francese Ozon, Kozole introduce e sostiene la figura di una giovane studentessa (per dovere) e prostituta (per scelta) che salvo ricondurre la materia trattata alle sue naturali inclinazioni sociologiche (il miraggio di una finta prosperità europeista, l'ossessione per il denaro, lo squallore di un inesorabile degrado culturale e umano , le insidie di una metropoli selvaggia e violenta), ne tratteggia con credibile sensibilità personalità e ambizioni e, facendogli fare il classico salto della quaglia, finisce per disorientare, prima che una cerchia di inconsapevoli amici e conoscenti, proprio se stessa: ingannata e tradita dalle irrealistiche prospettive di una facile e rischiosa scorciatoia sociale e dalla strada senza uscita di un insostenibile compromesso al ribasso.
Condotto con il naturalismo di una rinnovata scuola europea nel dramma di impegno civile (dai Dardenne in poi) e misurato nelle scelte di un occasionale intimismo qua e là scandito dall'uso della colonna sonora extradiegetica, il film del regista sloveno scansa tanto la spontanea 'pruderie' delle scene di sesso (crude ed esplicite, compresa quella ammiccante e seducente che campeggia nella locandina, ma perfettamente funzionali alla storia) quanto le insidie di una facile deriva nel patetico o nel melodramma grazie al rigore di una messa in scena che predilige il realismo alla soggettiva (inquadrature fisse, uso composto della steadycam, piano sequenza che solo nel finale pare avere una sottolineatura simbolica) e coadiuvato dalla maschera di disincanto e furbizia della splendida protagonista femminile: regina di cuori che sfrutta abilmente le debolezze degli uomini (l'amante sposato, il professore credulone, il padre inetto) ma è pronta a sfuggirgli allorchè viene stretta in una morsa fatale e senza via di scampo (la drammatica scena del balcone che ricorda quella ben più tragica dell''American Gigolo' di Paul Schrader). Bellissima la scena finale che coglie la disillusione di una giovane figlia dell'europa prossima ventura sussurrare a fior di labbra l'ironica e irriverente parodia del sogno americano della 'Bobby Brown goes down' dell'imperituro Frank Zappa. Nina Ivanisin premiata al Festival di Valencia del cinema Mediterraneo.

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