Regia di Ron Mann vedi scheda film
Ho usato diverse volte l'aggettivo "altmaniano" nelle mie recensioni, indizio del fatto che il regista americano ha lasciato un segno così profondo nella storia del cinema da meritarsi un aggettivo a parte, come è successo per pochissimi altri (Bergman, Hitchcock, Tarantino, Fellini, Buñuel). Proprio da questo aggettivo parte il documentario diligente e filologico voluto dalla moglie del regista di Nashville, Kathryn, scritto da Len Blum e diretto da Ron Mann, una sorta di doc for dummies che ricostruisce a menadito la carriera e la vita del regista nato a Kansas City.
Dopo l'esperienza in aviazione, Altman si convinse che avrebbe dovuto fare un mestiere che avesse a che vedere con la scrittura ("sapevo scrivere delle belle lettere", precisa). E così comincia a scrivere sceneggiature per la televisione, fino a quando Hitchcock non gli affida uno dei suoi episodi per il piccolo schermo. Non bastasse questo colpo di fortuna, ne sarebbe arrivato un altro al gioco, che gli avrebbe consentito di avviare anche la carriera di regista, alla fine degli anni '60. All'inizio del decennio successivo la sua fama crebbe a dismisura anche grazie alla vittoria a Cannes con M.A.S.H., che fece di lui una macchina da regia infaticabile (con qualche dispiacere dato ai figli). Fu allora che l'aggettivo altmaniano - rispetto al quale i molti che hanno lavorato con lui o i suoi epigoni, da Paul Thomas Anderson a Bruce Willis, sono chiamati a dire cosa possa significare - cominciò ad acquistare un significato concreto. Altman scardinò le regole Hollywoodiane, scrivendo film corali, facendo parlare gli attori tutti nello stesso momento (costringendo lo spettatore a "scegliere" il suo dialogo e facendo impazzire i doppiatori) e al tempo stesso proponendo una versione caustica, satirica e politica dell'America. La quale, finché Altman rimpinguò le casse di Hollywood, se lo coccolò (il regista arrivò a girare 5 film per la 21st Century Fox, gigante del settore) per poi impedirgli l'uscita di Health (durissimo atto d'accusa contro la politica sanitaria a stelle e strisce) e metterlo alla porta dopo il disastro di disastro di Popeye. Il nostro non si perse d'animo e si diede alle regie teatrali, per poi trasferirsi con la moglie a Parigi. Ed è lì che mise a segno la doppietta meglio riuscita della sua carriera: prima I protagonisti, con cui si prese una clamorosa rivincita nei confronti di Hollywood (Palma d'oro per la migliore regia), quindi America oggi, il suo capolavoro assoluto. Non lo fermarono né la malattia, né l'ictus (dopo il quale dimagrì in maniera impressionante) e neppure il trapianto di cuore, tanto è vero che diresse film (l'ultimo fu Radio America) fino al 2006, anno della sua morte, giusto in tempo per prendere anche un Oscar alla carriera.
Il documentario procede in ordine rigorosamente cronologico, mostra ampi spezzoni di film e inserisce una miriade di home movies assolutamente inediti, facendo entrare tanto il neofita quanto l'esperto nella carriera e nella vita del regista di capolavori come Images, Tre donne e La fortuna di Cookie o di boiate pazzesche come Terapia di gruppo e Prêt-à-porter, assai meglio di quanto siano riuscite a fare operazioni analoghe su altri registi come The Eastwood factor o La versione di Mario.
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