Regia di Ron Mann vedi scheda film
«Come sono i suoi principi morali?», «Traballanti. E i suoi?». Sono le prime battute che si scambiano Robert Altman, allora giovane regista di telefilm a basso costo, e una attrice del cast, Kathryn Reed, da quel momento sua moglie. Nonché ispiratrice e produttrice di Altman, documentario di Ron Mann che ricostruisce linearmente, anche con materiali inediti, vita e carriera di uno dei più grandi cineasti americani. Tra le chicche i suoi cortometraggi, alcuni dei quali “domestici”, e soprattutto gli aneddoti su un percorso artistico clamoroso, fatto di alti irraggiungibili (M*A*S*H*, Nashville) e tonfi clamorosi (Quintet, Popeye - Braccio di ferro).
Un regista che è anche un aggettivo, come Fellini. Celebrità di Hollywood (tra le quali Robin Williams) sfilano in mezzo ai materiali d'archivio per dare la loro personale interpretazione del termine “altmaniano” (“altmanesque” in originale). Bella idea drammaturgica. Ma la cosa migliore del film è lui, Robert Altman, quel che si scopre del suo privato. Che del cinema fosse un gigante si sapeva già (ma vale sempre la pena ribadirlo); che fosse una specie di Hemingway senza depressione, magari meno. Un bon vivant innamorato della vita e per questo attratto dai suoi lati oscuri. Di personaggi la sua opera corale ne ha raccontati moltissimi, ma forse quello che meglio lo rappresenta è il Tom Waits di America oggi, uno che alza il calice mentre un terremoto distrugge tutto.
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