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Court

Regia di Chaitanya Tamhane vedi scheda film

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La recensione su Court

di OGM
7 stelle

Narayan Kamble è un poeta. Canta i suoi versi rivoluzionari negli slums di una metropoli indiana. Un giorno la sua esibizione viene interrotta dalla polizia, giunta per arrestarlo con l’imputazione di istigazione al suicidio. Secondo le autorità, una sua composizione sarebbe la causa della morte di un giovane operaio, che si sarebbe ucciso dentro il tombino nel quale si era calato per lavorare. La storia ruota intorno a questa accusa - assurda, infondata, teoricamente facile da smontare, eppure, nei fatti, impossibile da rimuovere - per mettere in luce le contraddizioni di cui ancora soffre la più grande democrazia del pianeta. La macchina giudiziaria si muove lentamente, con i processi suddivisi in brevi udienze tra le quali trascorrono mesi di sostanziale inattività, mentre compaiono testimoni a pagamento e si verificano arbitrarie forme di persecuzione politica a danno di artisti ed intellettuali. Intanto le stesse masse che acclamano i creativi profeti del rinnovamento, si lasciano incantare dalla musica commerciale, resa popolare dai film e dalle serie televisive. Sullo sfondo rimangono, per contro, sempre vitali, i retaggi del passato, la superstizione, l’attaccamento alla terra d’origine, la mancanza di una visione globale che sia concretamente proiettata verso il progresso   La modernità non riesce a farsi avanti con le proprie gambe, perché ha bisogno di farsi accompagnare dalla tradizione, dall’abitudine a guardare indietro, dalla quale i miraggi dell’alta tecnologia e della finanza riescono solo a stento a distogliere le giovani generazioni, tuttora restie a seguire i miti d’importazione. Si può forse essere sensibili alla lusinga del denaro e del successo che aspettano i migliori laureati degli Indian Institutes of Technology, ma si continua a credere al potere degli antichi riti magici. Il quadro è variegato e confuso, quando la censura è ancora regolata dalle leggi inglesi dell’epoca vittoriana, e nelle aree rurali resistono culture religiose arretrate, dalle usanze barbariche. Si passa la serata al pub, dove si possono ascoltare melodie brasiliane, ma il giorno dopo si può essere aggrediti, all’uscita da un ristorante, per aver pubblicamente criticato le pratiche di una certa etnia. Il potere giudiziario, su cui il film centra l’obiettivo, procede in superficie sulla scorta dei codici e della burocrazia,  ma appare privo del necessario supporto di una coscienza critica, adeguata ai tempi, che possa davvero fungere da base ad un regime ispirato ai principi di libertà ed uguaglianza. Mentre la miseria dilaga, invincibile, la grande assente è la voglia di cambiare, di riconoscere, in quell’orizzonte chiuso dalla generale miopia, il vero nemico comune contro cui Narayan invita tutti a combattere. La sua voce è potente e rabbiosa, però intorno a lui la realtà è debole, inquieta ma sostanzialmente impantanata in un’inerzia morale che blocca ogni tentativo di rimettere in discussione gli assunti fondamentali (la vecchia concezione della vita familiare e del ruolo femminile), ed ostacola anche l’applicazione delle nuove norme (i dispositivi di sicurezza sul lavoro).  Durante un’udienza, una donna dichiara di non conoscere con precisione la propria età. Un’altra viene rispedita a casa dal giudice perché si è presentata con un vestito senza maniche. Il film procede lento e pacato, abbandonato ad una informe estemporaneità, che riproduce il ritmo esistenziale di chi tira a campare, facendo quello che può ed illudendosi di poter prosperare. In Court l’aula del tribunale si apre sul mondo, per rivelarsi come il cuore di un immenso mercato in cui la folla avanza a fatica, come un corpo dalle mille anime: individui soffocati dalla massa,  che non vedono dove vanno, che il più delle volte si lasciano trasportare dalla corrente, e che a tratti cadono e finiscono calpestati. In questo grande serpentone umano, è  pretestuoso voler intravvedere un nesso logico, da ciò che l’uno dice e l’altro fa, a pochi metri di distanza da lui. Le parole, per lo più, restano incomprese ed inascoltate, come i gridi di denuncia di Narayan. Oppure vengono studiatamente travisate, e date in pasto ad un sistema che cerca sempre nuove vittime.

 

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