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These Are the Rules

Regia di Ognjen Svilicic vedi scheda film

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La recensione su These Are the Rules

di OGM
7 stelle

Violenza. Bullismo. Malasanità.  Succede nella Croazia di oggi. Le persone coinvolte sono sempre le solite: anonimi cittadini, con una vita apparentemente tranquilla. I Jozic sono tre: una madre casalinga, un padre tranviere, un figlio adolescente che va al liceo. La sera, a volte,  Tomica rientra tardi, e la mattina è un problema farlo alzare dal letto. Soprattutto il giorno in cui, dopo tante insistenze, finalmente riappare, all’ora di pranzo, con il volto coperto di ferite. Per quella famiglia – una famiglia come tante - l’incubo inizia così. Tutto si compie sulla scia di una ragazzata, di un fare a botte che, ormai, fa parte del gioco. Ci si diverte anche in quel modo: è uno degli svaghi proibiti che gli adulti considerano pericolosi, eppure non ci si può sottrarre, perché così fan tutti. Si fuma e si nasconde il pacchetto di sigarette. Si partecipa ad una scazzottata, ma poi si minimizza. Il punto è che, in questo caso, anche i grandi sembrano sottovalutare la serietà della situazione. La polizia non interviene, i medici formulano diagnosi molto superficiali. Nessuno si preoccupa veramente della questione, né in generale, adottando misure di prevenzione del fenomeno, né in particolare, prendendosi cura delle singole vittime. Il povero Tomica non è importante, e non sembra lo sia nemmeno l’angoscia dei suoi genitori. Il dramma si consuma nel silenzio, in un’atmosfera ovattata che assorbe ogni possibile contraccolpo. Il mondo non batte ciglio, e lo stesso racconto, infatti, mantiene un registro assolutamente uniforme, perseverando, in maniera quasi innaturale, nel suo andamento pacato, privo di scossoni. La luce è tiepida e incolore, i suoni sommessi e piatti, il passaggio dal prima al dopo avviene senza che nulla cambi, nel ménage dei protagonisti: la cucina continua a presentare lo stesso guasto nel meccanismo di accensione delle piastre, la donna se ne lamenta di nuovo col marito, che le risponde  tranquillizzandola.  La disperazione viene sopita, nei luoghi della quotidianità, perché è altrove che intende trovare il suo sfogo clandestino. Laddove la dimensione pubblica è assente, e non è in grado di offrire alla collettività un riferimento valido e la giusta assistenza, ognuno cerca di aiutarsi da sé, rifugiandosi in una sfera privata che deve contenere troppe cose, facendo fronte a un numero eccessivo di necessità, e quindi finisce per scoppiare, all’improvviso, nel peggiore dei modi. La solitudine, in cui l’inefficienza delle istituzioni spesso confina gli individui bisognosi di conforto, si trasforma in una pentola a pressione, in cui emozioni laceranti sono costrette a convivere con il dovere di stringere i denti, per non aggravare il problema, e poter tirare avanti. A questo contesto umano, fragile ed esplosivo, corrisponde, dall’altra parte, un apparato che si nutre di burocrazia, trincerandosi dietro regole formali che tutelano soprattutto gli erogatori, e non i fruitori, dei servizi. Il cinema balcanico degli ultimi anni è una cassa armonica che amplifica il senso di vuoto, trasformando l’indifferenza del tono in un riflesso del cinismo dell’ambiente: il grido, implicito nelle circostanze, è il contrasto fra un’umanità sofferente e una realtà che segue la sua strada: le logiche della guerra, fino a ieri, e, a partire da oggi, l’esigenza di tornare alla normalità, instaurando un sistema rigoroso che pretende di risolvere l’emergenza semplicemente ignorandola. Ciò che avviene quando, per dimenticare un passato doloroso, si commette l’errore di chiudere gli occhi su un presente che non consola. 

 

 

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