Regia di Severin Fiala, Veronika Franz vedi scheda film
Il film della Franz attinge la sua forza espressiva dagli atavismi che emergono dai più profondi recessi della natura umana quale singolare declinazione di una Sindrome di Capgrass che sfocia nel tragico imperio da Signore delle Mosche che ne sani le colpe e ristabilisca l'equilibrio.
Quando la madre torna a casa dopo un intervento di chirurgia plastica, i due gemelli Elias e Lukas iniziano a dubitare della sua identità, fino al punto da sviluppare una cieca ed irragionevole ostilità che li condurrà ad un gesto estremo quanto irrevocabile. Finale tragico.
Favola horror che segna il debutto alla regia della scrittrice Veronika Franz (insieme a Severin Fiala) già da anni alle prese con le sceneggiature dei film del marito Ulrich Seidl, qui in veste di produttore, si inserisce appieno nelle produzioni indipendenti di un cinema teutonico da anni impegnato nel conciliare tematiche sociali filtrate attraverso un contesto di straniamento visivo che punta tanto allo spettacolo quanto all'allegoria.
Se i rimandi alla tradizione letteraria nord europea sono lo spunto per un'ambientazione bucolica ed isolata che fornisce la cornice più adeguata entro cui iscrivere una storia di ancestrale e sconvolgente brutalità, questo lo accomuna ad una responsabilità etica verso il mondo dell'infanzia che rimanda ad opere recenti meno trasgressive ma altrettanto cariche di sottesi simbolismi come Milchwald e Falscher Bekenner (Christoph Hochhäusler), conducendo le diverse tematiche legate al culto dell'immagine (una presentatrice televisiva che si rifà il viso) ed ad una allarmante insipienza pedagogica (una madre che sottovaluta il punto di vista della prole) alle estreme conseguenze di un ribaltamento di ruoli e di identità che innescano la terribile nemesi di disconoscimento e di purificazione con cui si conclude il film. Pur afflitto dai clichè dell'assedio di un cinema freddo e distaccato che aveva da tempo mostrato la parte migliore (peggiore?) di sè nello sconvolgente meccanismo iconoclasta e antiborghese di Funny Games (Michael Haneke - 1997), il film della Franz attinge la sua forza espressiva dagli atavismi che emergono dai più profondi recessi della natura umana, laddove troppo spesso si sottovalutano le imprevedibili reazioni di due cuccioli di uomo la cui ovattata cattività viene sconvolta dalla messa in discussione di un imprinting su cui sembravano fondare non solo il riconoscimento dell'autorità del proprio genitore ma la loro stessa identità di figli (gemelli che indossano grottesche maschere rituali che li rendono indistinguibili ed inseparabili). Il nucleo paradigmatico di una assurda distopia familiare già preso a modello per le più recenti incursioni nell'allegoria sociale del cinema greco (Kynodontas - 2009 Yorgos Lanthimos; Miss Violence - 2013 Alexandros Avranas) si traduce qui nella messa in scena di una singolare declinazione della Sindrome di Capgrass in chiave antropologica, laddove il tema del doppio (due madri possibili, due figli identici) si insinua come un tarlo nelle fragili psicologie di personalità in formazione che vivono come una usurpazione il ruolo di potere attributo ad una estranea, ergendosi a giudici ed aguzzini nel tragico imperio da Signore delle Mosche che ne sani le colpe e ristabilisca l'equilibrio. Carico di sottesi simbolismi ancestrali (il bosco, il campo di mais, la magione isolata, il rapporto con la natura e con gli insetti) è un film che procede distaccato nel rendere l'allucinata deriva di una tragedia familiare da cui il mondo sembra escluso e che si conclude con il rogo purificatore che dalla notte dei tempi l'uomo riserva quale auto da fè per la perversione delle ancelle del demonio capaci di plasmare la natura delle cose e financo la loro stessa immagine. Titolo originale ("Ich seh, Ich seh") più evocativo e significativo di quello internazionale ("Goodnight Mommy") che invece rimanda alla nenia infantile che apre e chiude il film, quale crudele contrappasso di un legame filiale ormai spezzato per sempre. Girato in 35 mm è stato presentato a Venezia 2014 nella Sezione Orizzonti ed ha riscosso consensi in molti festival in giro per il mondo (apprezzata la fotografia di Martin Gschlacht ) tra cui il Sitges - Catalonian International Film Festival 2014 dove ha ricevuto Il Gran Premio d'Argento per il Cinema Fantastico.
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