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Goodnight Mommy

Regia di Severin Fiala, Veronika Franz vedi scheda film

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La recensione su Goodnight Mommy

di mck
7 stelle

"Auto".

 

 

Com’emotigeno (se pur gnomicamente neutrale, tra l’asettico-esperienziale e il grandguignol-melodrammatico) trattatello psicanalitico e psicofisiologico, comportamentista e cognitivista, nel quale le i(n)terazioni interpersonali fra il trio di protagonisti si susseguono attraverso il dipanarsi di un’apparentemente coerente, se pur straniante, reciprocità di stimolo e risposta, con l’organismo (il corpo & la mente dei personaggi e degli spettatori) nel mezzo a mediare ed elaborare input ed output, “Ich Seh, Ich Seh” [ovvero “Io Vedo, Io Vedo”, vale a dire “oiδα”, il supremo (auto)inganno del “vedo dunque so”, ch’è niente di più falso, null’al mondo], l’esordio (dopo il documentario “Kern”) nel racconto di finzione (cui seguiranno a un lustro di distanza uno dall’altro “the Lodge” e “des Teufels Bad / the Devil’s Bath”, più l’episodio “die Trud” del film antologico “the Field Guide to Evil”) dei registi e sceneggiatori Veronika Franz (1965) e Severin Fiala (1985), zia e nipote [con l’Ulrich Seidl (1952) di Canicola, Import/Export, Paradise: Love/Faith/Hope, Safari, Rimini e Sparta, marito della prima e barbàno del secondo, alla produzione: ma forse l’unico momento limpidamente seidliano dell’opera è quello con i questuanti volontari porta a porta della Croce Rossa, mentre d’altro canto sono costantemente presenti lampanti venature "in purezza" del pensiero cinematografico e dell'approccio filosofico applicato alla materia umana messi in atto soprattutto da Michael Haneke e in parte da Yorgos Lanthimos (si consideri a tal proposito, in fatto di elaborazione del lutto, "Alpeis") e tanti altri, oltre che financo tracce inequivocabili di una variazione s’un tema qual è ad esempio quello del “the Other” (1972) di Robert Mulligan e Thomas Tryon, poi “rinverdite” dalla falsariga del recente, ma successivo, “Shadows” (2020) di Carlo Lavagna, Fabio Mollo & C.], uscito sul mercato internazionale col più che altro banalizzante titolo (preso di peso dal prologo vontrappista ritornante quale discreto leitmotiv in forma di lullaby brahmsiana innestato in vari punti lungo lo scorrere della storia) di “GoodNight Mommy”, è – oltre alla rappresentazione di un caso di sindrome di Capgras [patologia psichiatrica già al centro di "the Echo Maker" (2006), un magnifico romanzo di Richard Powers liberamente ispirato alla figura di Oliver Sacks] post-traumatica enfatizzata da estetico-patriarcal-capitaliste circostanze collateral-congiunturali – un lavoro caruccio e dagli appropriati interpreti (Susanne Wuest ed Elias & Lukas Schwarz), fotografia (Martin Gschlacht), in 35mm, e montaggio (Michael Palm), con una menzione speciale per le musiche di Olga Neuwirth, ma abbastanza “inutile” e che muore lì {di buono c’è che non poggia/punta tutto sul twist finale, ma, anzi, organizza lo svelamento in maniera che non si compia con un colpo di scena [come un epigono stracco di un - mi si perdoni l’iperbole - inarrivabile “the Sixth Sense” (1999) di M. Night Shyamalan], bensì con una costruzione progressiva a rilascio esponenziale d’indizi - praticamente mai contraddittori, anche in quel postittizzato "mama" dolentemente quanto "incredibilmente" irriconosciutosi - che proseguono sino a raggiungere la massa critica}, senza rinascere.

 

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