Regia di Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassiry vedi scheda film
Documentario finanziato dal basso con una campagna di crowdfunding online, "Io sto con la sposa" è incentrato su un tema di scottante attualità: quello dei profughi, in questo come in molti casi siriani e palestinesi, che giungono in Italia dopo un viaggio durissimo e in molti casi fatale e vorrebbero poi spostarsi in altri Stati europei più generosi, come la Svezia, ma ne sono impediti dalle norme europee che impongono che si deba chiedere asilo al primo paese europeo in cui si giunge.
Il giornalista Gabriele del Grande (già inviato di guerra in Siria e in grado di parlare un fluente arabo) ha allora l'idea di portare un gruppo dei rifugiati bloccati in Italia in macchina da Milano alla Svezia,e per eludere eventuali controlli e accuse di traffico di migranti propone di cammuffare il gruppo da corteo nuziale, in cui a Tasnim e Abdallah recitano il ruolo degli sposi e gli altri (sia italiani sia arabi) di parenti e invitati.
Il film documenta il viaggio da Milano a Malmo (Svezia) con il passaggio della frontiera italo-francese a Ventimiglia attraverso il sentiero utilizzato decenni fa dai migranti clandestini italiani, la sosta a Marsiglia, poi proseguendo attraverso la Germania e la Danimarca fino all'arrivo in treno in Svezia.
Le vicende del film sono abbastanza povere, in quanto il corteo non viene in realtà mai fermato né controllato da alcuno e attraversa indisturbato le frontiere aperte dei paesi dell'area Schengen, rendendo inutile l'abito bianco costantemente indossato da Tasnim.
Quello che è più interessante sono i racconti fatti dai protagonisti sulla loro vita nella Siria devastata dalla guerra, la morte di amici e persone care, la volontà di restare che ha dovuto cedere di fronte al rischio quotidiano di essere uccisi, il racconto del viaggio della speranza verso l'Europa con i suoi caduti (i cui nomi vengono scritti sul muro di una casa abbandonata lungo il sentiero montano tra Ventimiglia e Mentone): propio alla sposa Tasnim sono affidate le riflessioni più amare e profonde sull'orrore della guerra e sulla condizione umana dei profughi e dei migranti costretti a lasciare a malincuore il proprio paese di fronte all'impossibilità di mutarne la drammatica realtà ("combattono per la gente, non per le case vuote"). L'altro personaggio che più riesce ad emozionare lo spettatore è il ragazzino e talentuoso rapper Manar, che si esprime con efficacia attraverso versi in rima il dramma del popolo palestinese.
Nonostante la scottante attualità del tema e la solidarietà umana che suscita verso i protagonisti, rimane tuttavia la sensazione che il documentario ci abbia mostrato la parte meno interessante del loro viaggio, e le lunghe chiacchierate nell'abitacolo dell'auto risultano alla lunga un po' noise e ripetitive. Finanziato attraverso la rete, è un documentario più adatto da essere condiviso gratuitamente online, come quelli della piattaforma Vice, che proiettato in una sala cinematografica.
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