Regia di Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassiry vedi scheda film
Ci sono riusciti. Questo “film-documentario prodotto dal basso” testimonia il successo di un coraggioso esperimento, cinematografico ed umanitario. Il progetto – realizzato grazie ai contributi raccolti, tra gli utenti della rete, con l’innovativo sistema del crowdfunding - riguarda un singolare viaggio della speranza, partito dalla Palestina e dalla Siria alla volta della Svezia (il Paese europeo che, si dice, sia quello che tratta meglio i richiedenti asilo). Cinque profughi, arrivati sulle coste italiane a bordo di una delle tante “carrette del mare”, attraversano Italia, Francia, Lussemburgo, Germania e Danimarca. Giungono a Mentone percorrendo a piedi il vecchio sentiero utilizzato a suo tempo dai nostri emigranti. Si spostano in auto fingendo di essere i componenti di un corteo nuziale. Tutto è perfettamente credibile, visto che, insieme a loro, c’è una ragazza vestita da sposa. Fa parte della scorta, del comitato organizzatore del viaggio, alla cui guida si trovano gli stessi registi, Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassiry. I fatti si svolgono tra il 14 e il 18 novembre 2013. Le riprese iniziano a Milano, e si concludono a Malmö. L’obiettivo inquadra i volti dei personaggi, la loro fatica, le loro aspettative, i ricordi dolorosi, le motivazioni materiali ed ideali, che quasi sempre sono espressi a parole, ma spesso si traducono in musica, melodica o rap, imparata a memoria o improvvisata, e a volte si riflettono nelle preghiere, oppure si fissano in estemporanei graffiti su un muro. Basta trovarsi lì in mezzo per avere la sensazione di capire tutto: le ragioni degli sbarchi, l’irragionevolezza di certe politiche sull’immigrazione. La spiegazione è diretta, viva, e nasce, con semplice evidenza, dentro la realtà di quel gruppo di persone: un bambino e suo padre, un giovane, una coppia di anziani. Tutti hanno un passato ed una meta. Strada facendo si raccontano come farebbe chiunque, parlando del più e del meno, solo che in certi momenti non si possono trattenere le lacrime, e in altri la prosa cede naturalmente il posto alla poesia. Sullo sfondo si avvertono gli echi di guerre civili, di deportazioni, di famiglie divise o distrutte, ma nessuno dei presenti ne fa uno spunto per formulare rivendicazioni o lanciare proclami: quel che si sente è solo il delicato fruscio di una piccola schiera di anime in movimento, che sta scappando dalla miseria e dalla morte, ed è costretta a farlo di nascosto. Coloro che li aiutano stanno violando la legge, e sanno di rischiare il carcere. La fuga per la salvezza, in questo caso, anziché un diritto, è una sfida pericolosa, che continua ad essere tale anche una volta che il peggio è passato, dopo che gli scafi sono arrivati a destinazione, e i passeggeri sono sopravvissuti ai lunghi giorni trascorsi in mare. Trovare rifugio è difficile. Soprattutto quando cercarlo è in parte vietato.
Si potrebbe dire che Io sto con la sposa è la classica storia vera che fa pensare: ma questa definizione suona scontata, superficiale, ed anche un po’ riduttiva. La classificazione come opera d’impegno, per quanto più che mai appropriata, non rende infatti merito al suo discreto potere incantatore: la sua profondità morale, striata di fatalistica leggerezza, ci trasporta dentro le emozioni interrotte di una normalità violata, che tenta di ricostruirsi, di ricucire gli strappi, mantenendo, nonostante le circostanze, un sano e pacifico rapporto col mondo. L’amore per la vita è un sentimento ferito. Ma è un bagaglio di tristezza che, con la dovuta modestia, riesce ancora a mostrarsi bello e forte.
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