Regia di Davide Ferrario vedi scheda film
Un film sull'idea del progresso nel Novecento, come dice il sottotitolo. E più nello specifico, un film sull’acciaio, «la zuppa del demonio» secondo Dino Buzzati, il materiale che per un secolo ha rappresentato l’utopia italiana di un avvenire di benessere nel segno della grande impresa e della tecnica. Davide Ferrario salda il destino dell’industria pesante nel XX secolo, dall’ascesa incontrastata per decenni al declino cominciato con la crisi petrolifera del ’73, a quello del cinema, il cui primo film in assoluto, L’uscita dalle fabbriche Lumière, altro non sarebbe che un film industriale.
E a partire da questo imprinting, traccia l’evoluzione dei settori siderurgico e ingegneristico passando dal 1900 al fascismo, dal dopoguerra al Boom, dalla Fiat all’Olivetti all’Ilva, dalle dighe del nord ai giacimenti di petrolio in Sicilia. E lo fa montando decine di filmati dell’Archivio nazionale del cinema d'impresa (con firme come Olmi, Risi, Blasetti, Camerini), accompagnandoli a testi di Marinetti, Gadda, Sciascia, Volponi, Pasolini, Rea... Ne nasce così un viaggio amaro e malinconico nei sogni di un paese e dei suoi intellettuali, spesso scettici di fronte alla tecnica, ma pure loro, come diceva Bocca, convinti che proprio dalle grande industria, e più in generale dal progresso – «che ha sempre ragione, anche quando ha torto» (Marinetti) – sarebbe nato il futuro. Si sbagliavano. Ma nel frattempo hanno fatto l’Italia.
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