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The Look of Silence

Regia di Joshua Oppenheimer vedi scheda film

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La recensione su The Look of Silence

di OGM
8 stelle

La storia come ricordo e perdono. Il viaggio di un'umanità in cammino attraverso il tempo, che si rifiuta di perdersi, anche se la strada è cosparsa di orrore. Nessuno dimentica. Nessuno rinnega. Nessuno si nasconde. Anche questa è Verità.

Un massacro dimenticato. Quasi nessuno sa cosa fossero i Kommandos Aksi. Eppure erano terribili strumenti di morte, colpevoli di aver barbaramente massacrato milioni di innocenti. È successo in Indonesia, nel 1965. In quell’anno lo Snake River si è riempito di cadaveri fatti a pezzi, le sue rive si sono tinte di sangue. I carnefici erano comuni cittadini, che prestavano la loro opera per conto dell’esercito, secondo le disposizioni del regime militare. Comunisti erano chiamate le loro vittime: i nemici designati del popolo, i pericoli pubblici, i soggetti antisociali di cui liberarsi al più presto. Ramli era uno di questi. Le due vacche offerte in dono dai suoi genitori ai suoi persecutori non sono bastate a salvarlo da una fine orribile. Sua madre non avrebbe retto a tanto strazio, se, a distanza di pochi anni, non fosse di nuovo rimasta incinta. Se non fosse nato Adi, che oggi è un ottico quarantenne, padre di famiglia, pacifista, giornalista, indagatore della storia. L’obiettivo di Joshua Oppenheimer lo segue nel suo pellegrinaggio alla ricerca degli assassini di quel fratello mai conosciuto, e il cui ricordo continua a pesare sulla vita della sua famiglia di origine, su quei due coniugi anziani e malati, dai corpi scarni e segnati, si direbbero consumati da un perché ripetuto all’infinito, da una domanda che, disperatamente, continua ad affiorare, dal fondo immobile del passato. Adi, anche lui, non fa che chiedere. Va in giro per i villaggi, a misurare la vista e a vendere gli occhiali, e intanto interroga gli aguzzini di un tempo. Uomini che oggi conducono un’esistenza normale, magari sono anche politici influenti, esponenti di quel potere omicida che da quarant’anni governa il Paese. Adi vuole sapere. Non accusa nessuno, ma esige che i suoi interlocutori gli spieghino per bene come sono andate le cose. Insiste, per avere i dettagli, anche i più truculenti, anche quelli più incomprensibili. Richiama in vita l’infernale paradosso di persone qualunque che diventano spietate, che sgozzano i propri vicini e conoscenti, e poi ne bevono il sangue in un bicchiere,  giusto per non impazzire. Adi non ha paura di affrontare la loro verità, e loro non si vergognano a metterla in piazza. Questo film è una valorosa sfida al pudore. È una voglia di mettersi a nudo che supera ogni immaginazione, che mostra  coscienze inverosimilmente spogliate dal rimorso, aprirsi davanti ad un’altra coscienza, innaturalmente immune dal rancore. Il reo confesso non si scompone, né usa mezzi termini. Il confessore si limita ad ascoltare, e non batte ciglio. Alla fine, in una casa di povera gente, ci scappa pure un abbraccio, a suggellare la nascita di un’amicizia. L’impegno non è sempre denuncia. Può anche declinarsi nel perdono, che è la massima prova di coraggio morale. Dall’altra parte gli fa eco una sincerità senza limiti, sostenuta da una coerenza sovrumana, che sembra voglia strappare all’eternità di Dio il primato sul tempo. Quello che sembrava giusto lo rimane. Non si dà la colpa alla notte, che confondeva la vista, che sfumava i contorni dell’errore. Il ritorno della luce non ha modificato le forme e i colori. La verità è davvero un macigno, inamovibile,  immutabile, sempre uguale per chi decide di non imbrogliare. La si può guardare con  bieca sfrontatezza, o con eroica serenità. Ma lei non cambia aspetto. Adi se la fa ridire, mille volte. Il senso forse è questo: non cedere,  non abbassare il capo, non chiudere gli occhi, nemmeno di fronte ad un insopportabile assurdo.  

 

scena

The Look of Silence (2014): scena

           

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