Regia di Joshua Oppenheimer vedi scheda film
VENEZIA 71. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA – CONCORSO. GRAN PREMIO DELLA GIURIA
Perduto a Venezia, recupero finalmente l'agghiacciante ed atteso documentario di Oppenheimer, appena uscito in sala; anche se, a dirla tutta, la distribuzione sporadica mi costringe al solito inseguimento e a macinare chilometri. Ne vale la pena, perché l'incredibile documento del coraggioso regista statunitense riesce ad affrontare il confronto vero, reale, dignitoso da una parte, volgare ed ostentato dall'altra, tra due parti separate dalla violenza e dall'orrore: quella offesa e quella persecutrice, quasi cinquant'anni dopo un eccidio sanguinosissimo di cui molto poco si parla, che ha insanguinato l'Indonesia a metà anni '60, quando una caccia sadica e persecutrice contro ipotetiche forme di comunismo giudicate destabilizzanti e pericolose per il potere, ha messo armi in mano a bande di terroristi che, con atti di giustizia sommaria e senza alcuna forma di giudizio, hanno torturato barbaramente ed ucciso con una violenza incredibile centinaia, forse milioni di persone in tutta l'enorme articolato arcipelago.
Il celebre documentarista focalizza la propria attenzione sul figlio quarantacinquenne di una famiglia rimasta vittima di queste atroci brutalità. L'ultimo figlio di genitori ormai molto avanti con gli anni che, distrutti dalla barbara uccisione del loro primogenito, hanno trovato la forza anni dopo di procrearne un secondo, tornando a dare una ragione ad una esistenza sprofondata nel baratro dell'angoscia. A rendere ancora più incredibile la vicenda, vera e per questo davvero sconcertante, è che alcuni dei materiali esecutori della carneficina in cui fu vittima il primogenito, sono ancora impuniti e vivono poco distante dalle loro vittime, tranquilli e sereni, forti della loro immutata carica di prepotenza e fieri di tutto ciò che hanno compiuto in nome di una pulizia razziale che non ha nulla di meno dei più nefasti olocausti avvenuti pochi decenni prima nel Centro Europa.
Il figlio quarantacinquenne, di professione optometrista, approfitta delle sue visite a domicilio per sondare nei ricordi della gente comune, in chi ha visto ma vuole dimenticare, per paura o per l'angoscia di ripensare ai parenti perduti; ma intervista anche, conservando una calma ed un savoir faire che nascondono anch'essi un'inquietante presentimento (probabilmente ingannatorio) di attesa o di vendetta nei confronti di persone ancora fiere delle loro nefaste azioni punitive.
The look of silence documenta - con una freddezza ed un cinismo che sono scalfiti solo dal volto umano (l'unico come tale, assieme a quello dei vecchi e rassegnati genitori) dell'ancor giovane protagonista di questa sconcertante inchiesta che nasce come privata per divenire di dominio pubblico grazie a questa opera coraggiosa - la perseveranza di un regime del terrore e del sospetto, che ha saputo far cancellare o tenere sepolte le atrocità e le vendette che sono l'ennesima dimostrazione di quanto aberrante possa essere la brutalità umana sulla terra.
E' possibile convivere nei pressi del proprio aguzzino, dopo che la barbarie ha reso quasi insopportabile la prosecuzione della propria esistenza. Sembra impossibile pensare di rispondere affermativamente, ma le immagini di questo disarmante e drammatico documentario ci dimostrano che è incredibilmente possibile, come è possibile che la legge venga tenuta distante da una giudizio anche tardivo, ma certo doveroso nei confronti di assassini impuniti e neppure a disagio o afflitti da sensi di colpa, ma anzi fieri ed orgogliosi delle rispettive scellerate innominabili azioni di gioventù.
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