Regia di Rakhshan Bani E'temad vedi scheda film
La giovane madre prostituta. L’anziana madre militante. Lo studente rivoluzionario che fa l’autista. Figure di passaggio, che ogni tanto l’obiettivo decide di inquadrare. È il mio modo di guardare, dice il regista a bordo dell’auto in corsa: riprendere la città, con le sue strade, dove la gente è in movimento, e allora si rivela. Quando si ha una meta si ha sempre qualcosa da dire. Il pensiero si attiva, e le parole escono da sole. Per chiedere, per protestare, per accusare, per difendersi. Il racconto comincia con il ricordo, che spiega le ragioni. Che rivanga il passato e disseppellisce i rancori. La spontaneità genera l’organizzazione del discorso, mette le cose nel giusto ordine, e così anche noi capiamo. La continuità del tempo è il modo in cui la natura si evolve, gli eventi si rincorrono, le situazioni si complicano. Accade anche in un paese in cui la storia sembra essersi fermata: l'intimo subbuglio scatenato dal dispiacere, dallo scontento, prosegue il suo lavorio che produce sempre nuove rivendicazioni ed ulteriori spunti per formulare dubbi. L’ingiustizia sociale è una fonte inesauribile di storie da sbattere in faccia al mondo: in un ufficio pubblico, allo sportello di una banca, davanti ai cancelli di una fabbrica. Sui sedili di un autobus o al volante di un furgone. Il monologo cerca il battibecco, è la provocazione che dà l’avvio all’analisi. Tesi e antitesi si fanno la guerra e forse, insieme, finiranno per andare da qualche parte. Intanto si tengono a braccetto. I nemici si cercano, e prima o poi si trovano: uomini e donne, deboli e potenti, ricchi e poveri, quando si incontrano, non si mollano tanto facilmente. C’è una forza misteriosa che li spinge l’uno verso l’altro, per costringerli ad esprimersi, per impedire che si nascondano. Maasum è scappata, ma viene riconosciuta dal vicino di casa. Il marito vuole farsi leggere la lettera indirizzata alla moglie dal suo ex. Il vecchio malato non teme di esporre, al funzionario, tutti gli imbarazzanti dettagli della sua sventura. Si ordiscono piani criminali in mezzo alla folla, quando tutti possono sentire. Si litiga per scoprire se, magari, segretamente, ci si ama. Le tales sono favole, che di per sé non sono vere, perché non descrivono il mondo com’è, ma solo come ognuno lo vede. Come se lo sente dentro, e come vuole provare a proporlo al suo avversario, giusto per verificare la sua reazione. Tutti noi teniamo d’occhio le espressioni dei bambini, quando leggiamo loro una fiaba, per scrutarne la paura, la sorpresa, la gioia. La narrazione è un viaggio interiore condiviso. Un’esplorazione dei rispettivi limiti. Un itinerario nel quale si avanza impantanandosi nei fatti altrui, e in quelli propri che si era preferito accantonare. Un rimescolio pieno di ingenuo fervore e fastidiosi inciampi. Questo film non teme le insidie di un labirinto tracciato dal caso: ne segue i meandri, e si attarda a godersi le loro ombre dal contorno irregolare e duro. Non si fa spaventare, e non ha la smania di ritornare alla luce. Forse non troverà l’uscita, e intanto fuori sarà la scesa la notte. Ma resterà vivo il desiderio di tenere accesa la fantasia che brancola nel buio, tendendo le mani verso realtà invisibili.
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