Regia di Daniel Barnz vedi scheda film
Claire ha perso il figlio in un incidente d’auto e da allora la sua esistenza familiare è finita. Vive sola, accudita da una domestica ispanica e materna, nella casa in cui tutto era iniziato così bene. Iraconda e sociopatica, abusa di antidolorifici e alcolici, ai margini di un gruppo di ascolto che la allontana in quanto «fonte di turbamento». Il suo fisico è una zavorra, solcato da ferri e cicatrici che le impediscono una deambulazione normale, un sonno prolungato, un recupero psichico dal trauma. Il sesso come tortura, il passo come condanna: Jennifer Aniston si allontana dagli abituali personaggi frivoli per consegnarci una protagonista in implosione di rabbia e dolore, costantemente sul ciglio del baratro in un continuo dialogo con il proprio istinto di sopravvivenza, nervo scoperto dal suicidio di una compagna del “gruppo”. Aggrappandosi al volto e alle movenze dolorose della sua grande (in questo caso, sì, è grande) attrice, Barnz esce indenne dall’abuso di simbolismi facili (la leggerezza dell’acqua come trita metafora del galleggiamento esistenziale e del sollievo dal male), di espedienti superflui (l’intera dimensione onirica, didascalica e perciò evitabile) e di personaggi di contorno mai sufficientemente caratterizzati, a esclusione della citata domestica. Cake è un dramma privato, ateo e quotidiano, che non pretende di dare risposte, ma pone sempre gli interrogativi giusti, attingendo alla retorica soltanto quando è inevitabile.
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