Regia di Richard Fleischer vedi scheda film
Una grande villa di campagna nasconde i corpi massacrati di un intera famiglia e una ragazza cieca che vaga per la casa ignara dell’orrore che la circonda, la giovane si muove per un giorno intero in questo invisibile (per lei) teatro di morte, sfiora i corpi dei cadaveri o i segni anomali di un intrusione violenta, ma per lungo tempo manca il contatto decisivo, per uno strano e beffardo segno del destino il tatto, senso per lei fondamentale, sembra non esserle più amico.
Nella prima parte di Terrore cieco (See no Evil o Blind Terror) a dominare è un innegabile fascino morboso, Richard Fleischer è abilissimo nel creare un climax di angoscia che si muove in perfetta sincronia con l’attesa della scoperta, il regista americano si prende il suo tempo alimentando una suspense a tratti insostenibile, muove la camera con il chiaro obiettivo di portare lo spettatore nel mondo senza luce della protagonista Sarah (Mia Farrow), ma non potendo oscurare la scena decide di giocare con le inquadrature, mostrando di volta in volta solo dei piccoli particolari.
E quindi abbiamo il bracciale perso dall’assassino, un indizio fondamentale sperduto nella vastità di una grande sala o i vetri rotti in cucina, frammenti di una quotidianità recisa che il fato rende invisibili, o meglio intangibili, intanto la tensione sale lentamente fino a quando la verità non sarà lampante anche agli occhi di chi non può vedere.
Scritto da Brian Clemens il film proponeva due sfide che Fleischer trovò subito molto stimolanti, la prima era appunto quella di mostrare un microcosmo thrilling (con chiari rimandi all’horror) gestendo una protagonista non vedente e quindi studiando una messa in scena che tenesse conto di questo elemento, la seconda era quella di celare il volto dell’assassino fino alla fine, di lui vengono mostrati solo dei particolari del suo abbigliamento o della sua opera criminale, ecco quindi comparire gli strani stivali da cowboy con tanto di stella in bella mostra (il film è ambientato nella campagna inglese), il bracciale che si vede all’inizio e che poi diventerà un elemento determinante nello sviluppo della storia, un bossolo di fucile mosso dal vento.
Per fare questo il regista studiò un sistema che permetteva di piazzare l’obiettivo rasoterra e di effettuare movimenti di macchina in tutte le direzioni, una trovata assai funzionale che permise molte inquadrature “insolite” che diedero all’opera uno stile accattivante e personale.
Fleischer non era certo uno sprovveduto e sapeva che la storia, non essendo particolarmente originale, andava raccontata con una messa in scena che valorizzasse il plot e che lo rendesse più interessante, del resto la tematica della donna disabile in balia di uno o più criminali non era certo nuova, basti citare il super classico La scala a chiocciola (1945) di Siodmak (Dorothy McGuire è muta) o il più recente e quasi contemporaneo Gli occhi della notte (1967) di Terence Young (Audrey Hepburn anticipa Mia Farrow di qualche anno), ma di esempi c’è ne sono molti, talmente tanti che è inutile elencarli.
Sarah perde la vista in seguito ad un incidente di cavallo, dopo aver trascorso un periodo in una clinica specializzata viene ospitata dalla famiglia Rexton (Betty, George e la giovane figlia Sandy) nella loro grande villa in campagna, sono gli zii di Sarah e l’occasione è propizia anche per riprendere i rapporti con Steve (Norman Eshley), un ragazzo del luogo con il quale aveva una relazione prima del suo incidente.
Mentre Sarah si trova da Steve nella tenuta degli zii fa irruzione un misterioso individuo armato di fucile, l’uomo che viene descritto (in brevi ma ficcanti scene) come una personalità violenta e sessualmente repressa fa una strage, uccide i coniugi Baxter e probabilmente violenta, prima di finirla, la giovane figlia, quando Sarah torna a casa non si accorge di nulla, solo il giorno dopo scoprirà la strage, ma il killer torna sul luogo del delitto per recuperare il bracciale che può identificarlo.
Terrore Cieco è un film dalla composizione lineare ma ricca di spunti interessanti, nonostante siano passati tanti anni la pellicola non ha perso un briciolo del suo fascino, le trovate visive scelte da Fleischer risultano ancora oggi vincenti ma è la prova di una grandissima Mia Farrow a restare ben impressa nella memoria dello spettatore, l’attrice solo pochi anni prima aveva girato il capolavoro Rosemary’s Baby (1968), qui accetta un ruolo se vogliamo ancora più ardito e complesso, un ruolo dove le sue doti attoriali emergono in maniera prorompente.
La Farrow domina completamente il film, siamo con lei mentre vaga nella grossa villa dei Rexton, muovendosi insicura in un ambiente spazioso ma circoscritto, un habitat che ha i suoi percorsi stabiliti, strade "sicure" che di colpo rivelano l’orrore della morte, ma ancor di più conquista lo spettatore quando con coraggio sfugge all’assassino per ritrovarsi sperduta nel pieno della campagna inglese, il nulla infinito che dai boschi la porta in una specie di cava, tra fango e baracche di legno, tra zingari inaffidabili e la speranza di un aiuto.
Fleischer gira un film di genere ma lo fa con il mestiere dei grandi, tensione, angoscia, ritmo, suspense garantiscono alla pellicola uno spessore non comune, il regista riesce persino ad inserire un breve frammento sentimentale (girato benissimo) che non solo non stona ma che da maggiore spessore ai personaggi.
Per me un cult intramontabile, musiche di Elmer Bernstein, fotografia di Jerry Fisher, si vocifera di un probabile remake (e te pareva!) che vedrebbe in scrittura Mike Scannell e alla regia Bryan Bertino (The Strangers).
Voto: 8
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