Regia di Oren Moverman vedi scheda film
Richard Gere, che del film è stato anche produttore, riesce nel non facile compito di interpretare senza retorica nè pietismo il personaggio di un senzatetto, regalandoci oltre ad una delle sue migliori prove anche lo spaccato di un America ai margini (bella ed indicativa,ad esempio, la difficoltà nel vedersi riconoscere un documento che attesti l'esistenza e l'identità). Scegliendo un approccio diverso dallo scanzonato "barbone" De Niro nel bellissimo "Being Flynn", qui Gere si fa testimone dolente e disincantato di un mondo dove è facile perdere ad uno ad uno i punti di riferimento, precipitare nell'indigenza, smarrire per sempre anche gli ultimi barlumi di dignità, da una doccia calda ad un abito pulito. Così anche i pochi ancoraggi alla realtà (una figlia abbandonata precocemente, un fugace amore con un'altra senzatetto) sono solo l'anticamera di un vuoto esistenziale che annichilisce e rende vano ogni tentativo di riscatto. A fare da sfondo le belle immagini di una New York crepuscolare, fredda non solo meteorologicamente (a tal proposito nel pronto soccorso si puà dormire solo se fuori la temperatura è ufficialmente sottozero, come se ad 1° i problemi sparissero per incanto). Gli sguardi degli altri si scostano, come a non vedere una realtà onnipresente e forse proprio per questo ancora più dura da sopportare. Bravo infine Ben Vereen nella parte di un logorroico compagno di sventure precipitato a sua volta nel vortice della solitudine e del rimpianto di tempi migliori che non potranno più tornare.
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