Regia di Oren Moverman vedi scheda film
In TIME OUT OF MIND troviamo il divo Richard Gere nei panni, per lui inusuali - considerata anche la bella presenza esteriore che continua imperterrita ad accompagnarlo pure oltrepassati i sessanta - di un uomo ormai anziano, da anni caduto in disgrazia e condotto in caduta libera verso un baratro che sembra non avere mai fine.
Vedovo precoce, ha cominciato a bere e gli è stata sottratta la figlia appena dodicenne, affidata alla nonna materna; poi ha perso il lavoro, poi la casa, ed ora vive in stato di completa indigenza occupando case sfitte, cercando asilo nelle sale d'attesa dei pronto soccorso, o presso il Bellevue Hospital, il più grande centro newyorkese di accoglienza per senza tetto. Cerca anche di trovare una nuova occupazione, ma la totale mancanza di documenti d'identità o di persone che possano garantire le sue generalità, non gli consente di frenare questa caduta verticale senza fondo.
Un tentativo estremo di approccio con la figlia barista, con lui fredda e disillusa – come darle torto - lascerà almeno aperto un barlume tenue di speranza all'orizzonte, senza diradare troppo la corte di nuvole nere che si staglia da tempo all'orizzonte e tutto intorno all'uomo.
Moverman ha l'intelligenza di filmare senza fronzoli ed elementari disincanti, e la fortuna di avvalersi, per una volta in un film americano di medio budget, di uno script che riesce a rimanere lucido e schietto senza perdersi nei facili sentimentalismi melensi e nella subdola retorica in cui gli americani spesso si perdono irrimediabilmente. La pellicola dunque, pur scontando tempi eccessivamente lunghi ed un ritmo decisamente blando se non a tratti soporifero, ha la coerenza di restare leale alle proprie intenzioni, senza edulcorare e illudere per piacere a tutti i costi: infatti proprio per questo il film in sala è piaciuto poco, ma questo aspetto è – mi spiace fare sempre il bastian contrario – il valore più forte di una pellicola a suo modo coraggiosa e coerente.
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