VENEZIA 71. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA - GIORNATE DEGLI AUTORI
Il film più piccolo della scuderia italiana a Venezia si rivela come il più importante e vitale della Mostra, almeno tra quelli da me visionati. Una fabbrica del nord chiude e delocalizza all'estero, o almeno prepara le carte per attuare questo scellerato programma, allineandosi al ormai consueto costume imprenditoriale italiano. Un bizzarro e caratteriale operaio di idee politiche filo-berlusconiane, addetto alla catena di montaggio non ci sta e, armatosi di pochi viveri, sale su una delle torri e minaccia di gettarsi di sotto se nessuno fa accorrere la televisione ed i media, per ascoltare le sue ragioni e rivendicazioni.
Il rappresentante sindacale del gruppo, pure lui dipendente in corso di esodo, di idee politiche esattamente opposte, si precipita sulla torre quando l'uomo in bilico rischia di sfracellarsi al suolo. La situazione precipita quando, salvato il disgraziato, il sindacalista viene dapprima preso in ostaggio, poi diventa parte integrante della protesta, coadiuvato dal guardiano ipovedente dell'azienda, bizzarro giovanotto con enormi capacità mnemoniche, ma visibilmente disadattato.
La loro protesta, visibilmente trascurata e snobbata, almeno inizialmente dai media, cambierà l'esito delle rispettive esistenze grazie ad una nottata di duro ed acceso confronto politico tra due pensieri completamente divergenti, tramite il confronto dei quali sarà possibile al regista e a noi spettatori rivivere tutte, o molte, delle tragedie, dei drammi e delle vergogne di una prima repubblica che, solo a rivederla in tutti i suoi mostruosi e terrificanti protagonisti (tutti negativi tranne un paio, di cui eviterò di specificare il nome, ma appare evidente guardando il film) troviamo molte, se non tutte, le spiegazoni del motivo per cui ci troviamo nel baaratro che attualmente ci caratterizza.
Raro, distaccato e prezioso, il cinema di Felice Farina parte sottotono, ma sfodera gli artigli nella lucidità delle proprie affermazioni, confutate da immagini che non lasciano nulla di evasivo o non espresso, introdotte sapientemente da un terzetto di attori straordinari: Roberto Citran, da sempre volto da "prete bello", predicatore con coscienza e pacatamente ma risolutamente di sinistra, Francesco Pannofino, esilarante istrionico operaio filo-berlusconiano che gli riconosce il merito di aver portato nelle case una televisione finalmente interessante (quella tutta tette, culi e calcio) e un inedito Carlo Gabardini, genio mnemonico dalle mille insperate risorse racchiuse in unfisico deficitario che riserva sorprese inaspettate. La piccola grande sorpresa del festival, dall'opera quasi omonima di Deaglio sullo sfondo dei nostri ultimi travagliani anni di repubblica del malcostume.
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