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L'australiano

Regia di Jerzy Skolimowski vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'australiano

di vermeverde
8 stelle

Eccellente film la cui visione è ancora oggi significativa e inquietante e in cui spicca la superlativa interpretazione di Alan Bates.

L’australiano (The Shout, cioè il grido/urlo) è un film girato nel 1978 dal regista polacco Jerzy Skolimowski già collaboratore di Andrzej Wajda e Roman Polanski, tratto dal breve racconto di Robert Graves “The Shout” del 1928 a cui, pur ampliandone le scarne vicende e posticipandolo ai tempi attuali, è sostanzialmente fedele.

La trama narra di un uomo, Charles Crossley (Alan Bates) degente in un manicomio (perché convinto che la sua anima gli sia stata spezzata) che durante una partita di cricket tra degenti e abitanti del paese, racconta ad un ragazzo (Tim Curry) le vicissitudini che lo hanno condotto lì. Tornato in Inghilterra dopo 18 anni trascorsi in Australia tra gli aborigeni dove ha appreso da uno sciamano pratiche esoteriche,  fra le quali emettere un urlo terrifico che uccide chi lo ode (da cui il titolo originale) o soggiogare e sedurre una donna sottraendole un insignificante oggetto personale, si intromette nella vita di una coppia, Anthony (John Hurt)  cultore di musica concreta, forma artistica posteriore al racconto originale, e Rachel (Susannah York). 

Lo stile narrativo di Skolimowski è sintetizzato da quanto dice Crossley all’inizio del suo racconto : “… Ogni parola di ciò che sto per dirle è vera. Solo che la potrei dire diversamente: È sempre la medesima storia, ma io vario la sequenza degli eventi e vario il momento culminante di quel tanto che basta a far sì che sia viva”. La narrazione, infatti, è frammentata per mezzo di un montaggio a volte alternato a volte parallelo, spesso inframezzata da brevi flash che concorrono a destrutturare il tempo narrativo, non sequenziale, ma scisso come la psiche alterata del narratore. È da osservare, inoltre, l’ambiguità del soggetto narrante che non può essere (sempre) Crossley perché riferisce di fatti e situazioni di cui questi non può essere a conoscenza.

Il senso della storia è il contrasto, lo scontro drammatico fra le pulsioni naturali primordiali non frenate da convenzioni e vissute troppo intensamente senza controllo, rappresentate da Crossley e una cultura sofisticata e inquadrata in rigide (e anche ipocrite) norme sociali, rappresentata da Anthony collezionista di suoni che, estraniati dal contesto originario, assumono un connotato astratto, non più in rapporto, cioè alienati, dalla realtà che li ha prodotti: non a caso, per sottolineare il conflitto ha significativamente modificato il testo originale presentando Anthony come musicista concreto, stravolto dall’urlo terrificante e ancestrale di Crossley. Il terreno di scontro fra i due è Rachel, che, dapprima diffidente verso Crossley è poi sedotta dalle sue arti esoteriche e, consapevole di ciò e consenziente, gli si concede, preferendo un rapporto con chi rappresenta una realtà concreta e sincera rispetto al marito che con la realtà ha un rapporto intellettualistico e distaccato. Il conflitto deflagrato fra Anthony e Crossley vede alla fine entrambi perdenti perché entrambi privi di equilibrio.      

Il film si avvale delle ottime interpretazioni di Alan Bates, veramente carismatico e inquietante, di una sensuale Susannah York e di un tormentato John Hurt, della pregevole fotografia dai toni freddi di Mike Molloy e delle musiche di Anthony Banks e Michael Rutherford e di Rupert Hine (elettronica). 

 

 

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