Regia di Jerzy Skolimowski vedi scheda film
Durante una partita di cricket in un manicomio della campagna inglese uno dei pazienti, che fa anche da arbitro, inizia a raccontare al suo collega la strana storia di antichi riti tribali aborigeni che egli apprese durante i lunghi anni passati nell'entroterra australiano e di come questi hanno sconvolto la vita di una giovane coppia del luogo, un'infermiera ed un musicologo, della cui donna egli si era invaghito.
Tratto dal racconto del poeta e scrittore Robert Graves e sceneggiato dal regista insieme a Michael Austin, questa storia di passione e follia segna in realtà l'irruzione dell'irrazionale e del mito come elemento che contribuisce a scardinare le solide convinzioni culturali e religiose della civiltà borghese , riconducendo l'esperienza dell'uomo alla primigenia matrice ancestrale legata ai miti ciclici della terra e della vita. Approntando l'affascinante meccanismo di una messa in scena in cui tanto i piani temporali quanto le prospettive della narrazione sembrano incrociare gli eventi della delirante narrazione del suo misterioso e oscuro protagonista con un presente di reclusione e di follia, Skolimowski ci conduce in un territorio inesplorato frequentato dall'ambigua coesistenza tra il dominio dell'irrazionale come plausibile elemento di manipolazione della realtà ('Oh sì, io credo nel potere della magia; è 'una realtà. Se un uomo è convinto di essere condannato, muore perchè si lascia andare') ed il raccondo di un folle, 'un povero istrione che si dimena e pavoneggia durante la sua ora sul palco, e poi non s'ode più'.
Pervaso da un sinistro simbolismo di morte e giocato sugli effetti stranianti del sonoro, la ricerca musico-antropologica di uno sgomento John Hurt sembra assecondare l'eco lontana delle terribili armonie della natura, l'urlo terrifico di una volontà di dominio e di potere quale affermazione esemplare dell'istinto sulla ragione, della natura sulla cultura, del caos sulla civiltà. Innovativo tanto sul piano formale (straordinari tanto il montaggio che il sonoro) e visivamente affascinate, il film di Skolimowski elabora in maniera assolutamente personali le tematiche già abbozzate l'anno prima da Peter Weir nel suo 'The Last Wave' e curiosamente riprese nell'oscuro e angosciante 'Nomads' di John McTiernan, laddove la sottile ambiguità che separa il mondo degli spiriti dalla realtà potrebbe essere invece il sintomo allarmante di una deriva nell'irrazionale e nella follia di una mente incapace di elaborare l'affiorare minaccioso di paure escatologiche.
Sebbene mantenga nella circolarità della narrazione e negli scarti del montaggio una sua natura volutamente criptica e indecifrabile, è un film che si presta a più livelli di interpretazione, rivelando il talento indiscutibile di un autore che ottenne il suo primo, importante riconoscimento internazionale con la vittoria del Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 1978.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta