Regia di Diego Bianchi vedi scheda film
Con un po' di retrogusto alla "Ferie d'agosto", il popolare Zoro (alias Diego Bianchi) trasporta al cinema le sue leggiadre intemerate su una politica che ha perso il gusto di riconoscersi negli altri e si specchia in tristissimi laghetti (o banchetti) narcisistici.
Molto funziona, qualcosa no. Piace la pensante levità della prima parte, la carrellata infallibile di tipi umani/romani che sembrano usciti dal Pantheon di un abilissimo bozzettista. Meno centrata la deriva che prende la vicenda lungo il finale: trasformare una riuscita satira, anche giustamente moraleggiante, sulla inconcludenza e apatia degli appartenenti alla destra (?) e alla sinistra (??), in una sorta di b-movie di azione, con tanto di sequestro di persona, destituzione dei simboli storici ormai confinati in quadretti impolverati, e successiva loro sostituzione con le icone di una modernità pop e più facilmente "unificante", sa un po' di artefatto. O comunque non rende giustizia alla fluidità del tutto.
Anche la scelta, che Zoro compie, di inserirsi nel discorso con una sequela di quasi selfies, in cui tessere le fila del discorso,contrappuntarlo e chiosarlo alla sua maniera, al cinema lascia molto più perplessi che in tv.
Piccole spigolature tuttavia impagabili: la filastrocca nostalgica del nonno che si arrende alla vera, unica passione della Roma borgatara e sinistrorsa; Nicola Pistoia e la sua insensata e forse inconsapevole evocazione di Spike Lee: le annoiatissime primarie, tuttavia ravvivate da una Ilaria Spada da urlo.
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