Regia di James Cameron vedi scheda film
Sequel al cinema, una storia segnata da svariate disfatte e occasionali trionfi.
Ormai, ci siamo/hanno abituati male. A furia di scottarci le mani, regalando gratuitamente tutta la nostra stima/fiducia a scatola chiusa, con progetti che come dichiarazione d’intenti promettevano di riprendere strade interrotte da più o meno tempo, per tornare a elargire emozioni uniche e indimenticabili, siamo prevenuti, abbiamo innalzato - tra noi e il film di turno - una roccaforte ardua da scalfire.
In un contesto del genere, cristallizzatosi da alcuni lustri a questa parte, il fallimento è il traguardo più a portata di mano. In pochi riescono a sopravanzare gli ostacoli frapposti, qualcuno finisce impantanato nel limbo di chi non diviene né carne né pesce, altri precipitano direttamente nel vuoto sprovvisti di paracadute. Principalmente, questa tendenza è esplicita conseguenza di una preoccupante latitanza delle idee, in secondo luogo generata da visioni produttive che ricercano assiduamente rilevanti ritorni economici a fronte di lavorazioni che siano il meno complicate possibile (quindi, meglio se con un soldatino al comando).
Uno dei pochi registi/autori che sia riuscito nella missione (quasi) impossibile di realizzare sequel da promuovere a spada tratta, è indubbiamente James Cameron, headliner assoluto del botteghino globale (nonostante i fantasmagorici successi Marvel, Avatar e Titanic rimangono a oggi sul podio di sempre). In attesa di verificare l’entità del suo nuovo parto cinematografico (Avatar: La via dell’acqua), il regista canadese aveva sorpreso tutti nel lontano 1986 con Aliens. Scontro finale convertendo la claustrofobica tensione horror dell’originale in un action movie granitico, che non concede un solo attimo di tregua.
Con Terminator 2 – Il giorno del giudizio compie un ulteriore, meritorio e definitivo balzo in avanti, modificando, rintuzzando e ampliando il suo stesso progetto originario (Terminator), assicurandosi il titolo di film di maggior successo di quella stagione cinematografica, per giunta coniugandolo con un apprezzamento critico tutt’altro che scontato.
Mentre Sarah Connor (Linda Hamilton – Dante’s peak – La furia della montagna, Terminator – Destino oscuro) è considerata malata di mente e rinchiusa in un manicomio di massima sicurezza, dal futuro approdano due terminator. Il T-800 (Arnold Schwarzenegger – Atto di forza, True lies) ha il compito di proteggere il giovane John Connor (Edward Furlong – American history X, Pecker), al contrario il più progredito T-1000 (Robert Patrick – The faculty) ha come unico obiettivo quello di eliminarlo una volta per tutte.
Nonostante sulla carta la lotta sia quanto mai impari, il T-800, Sarah e John venderanno cara la pelle, dapprima fuggendo, in seguito cercando contromisure per fermare l’avanzata dell’acerrimo nemico.
Forte del più alto budget mai impegnato fino a quel momento, pari a circa cento milioni di dollari, Terminator 2 – Il giorno del giudizio mostra i muscoli, evidenziando un rendimento tra (ingente) dispiego di mezzi e (sfavillante) resa effettiva, che ancora oggi fa la sua soddisfacente figura (è invecchiato bene, almeno visionato nella sua scintillante versione in 4k).
In ogni caso, prima di tutto, dispone di una funzionalità grandiosa poiché - dietro, davanti e tutto intorno - è avvolto da tematiche di sicuro affidamento, che forniscono una base robusta e una sensazione di generale compiutezza sulle quali sviluppare, dispiegare e movimentare tutto il suo gigantesco potenziale tecnico.
Segnatamente, il bagaglio contiene viaggi nel tempo che possono modificare - fino a capovolgerli - il corso degli eventi, il rapporto tra essere umano e macchine, che nel tempo vede spostarsi sensibilmente gli equilibri, e l’ipotesi di un’apocalisse che spazzerà via la razza umana, a sua volta votata all’autodistruzione, senza riuscire minimamente a intuire - in tal senso, è emblematica la figura di Miles Dyson (Joe Morton – Speed, Scandal) - di essere sulla strada sbagliata, in procinto di andare a schiantarsi.
Inoltre, riparte dal suo già illustre predecessore tra conferme e rilanci, ad esempio rivoltando a 360 gradi lo status del cyborg affidato ad Arnold Schwarzenegger, trasformandolo da minaccia infallibile a eroe buono a cui affidare a cuore aperto tutte le proprie residue speranze di salvezza, fornendo all’attore austriaco anche l’occasione di sfoggiare pillole più leggere, quasi comiche (non sono tante, sufficienti per farle notare e non intaccare il tenore complessivo). In aggiunta, sfodera l’istintivo rapporto tra madre e figlio, fondato sulla protezione, che Linda Hamilton sfrutta al meglio, esprimendo un elevato grado di combattività.
Comunque sia, Terminator 2 – Il giorno del giudizio è prima di tutto una macchina da guerra altamente professionale che non conosce intoppi, con automatismi coriacei, fondamentali calibrati e un dosaggio millimetrico che gli permette di raggiungere, e poi mantenere, un elevato numero di giri senza mai andare oltre. Parimenti, è doveroso segnalare come Stan Winston compia miracoli come responsabile dei mirabolanti (per i tempi) effetti speciali, mentre James Cameron, presente nelle vesti di produttore, soggettista, sceneggiatore e regista, è perentorio come mai accadutogli in precedenza, dimostrando di essere un uomo di cinema capace di gestire e dominare il mezzo sotto molteplici punti di vista.
A conti fatti, Terminator 2 – Il giorno del giudizio rimane un formidabile e superbo esemplare di cinema d’intrattenimento, pienamente consapevole delle proprie disponibilità, generoso nell’utilizzo del suo altisonante arsenale e meticoloso nel sancire le proporzioni strutturali tra spettacolo puro e le forme di pensiero/linguaggio.
Perennemente sincronizzato sul pezzo, tra aggiunte e ribaltamenti, convoglia e concatena una significativa mole di ingredienti, con un’esecuzione che veleggia e volteggia a memoria. Fino all’ultimo respiro, pescando nella damigiana dei sentimenti primari che amplificano la portata di ogni singola mansione/azione, con tanto di allungo finale che forgia, secerne e diffonde una sensazione di fantastica apnea.
Aerodinamico, dirompente e mozzafiato.
Hasta la vista, baby.
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