Regia di John R. Leonetti vedi scheda film
Se consideriamo che l’horror main stream è ormai una ripetizione di temi e motivi oltre che di livellamento verso il basso del linguaggio cinematografico del terrore, possiamo vedere in Annabelle un film mediamente interessante, con una struttura narrativa canonica ma articolata visivamente con soluzioni interessanti e non banali. Una grammatica fatta di carrelli, zoom e inquadrature distorte che ricordano il cinema di Tobe Hooper – Djinn (2013) pur non essendo eccelso, non si può dire che non è un film di Hooper proprio per lo stile riconoscibile – e che, pur non inquietando come dovrebbero, rendono solido l’impianto narrativo stesso e l’immaginario di riferimento, ovvero una commistione tra il cinema delle bambole e pupazzi assassini e quello delle possessioni demoniache.
Debitore, come molti altri film degli ultimi dieci anni, del mito di Rosemary’s Baby (1968), anche il film di Leonetti gioca la carta della gravidanza traumatica, dell’ossessione del male in ogni dove, trasfigurando nella famelicità del diavolo per le piccole anime innocenti le paure ancestrali che da Cappuccetto Rosso in avanti fanno da motore narrativo ai racconti di paura, confermando il bisogno assoluto dell’essere umano di indagare il misterioso attraverso le strutture del fantastico e di esorcizzare la morte attraverso il rituale anche crudele del fiabesco.
Certo Leonetti non firma un capolavoro, ma il risultato finale, proprio grazie all’apporto tecnico ed estetico e alla rilevanza di temi e motivi consolidati, è molto buono. Leonetti riporta il racconto del terrore più sui binari della peripezia piuttosto che su quelli del perturbante, il che a volte non guasta – basti vedere il cinema di Rob Zombie da Halloween (2007) in avanti per capire che il perturbante può anche non essere l’unica base su cui costruire un racconto del terrore.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta