Mentre Donald, il tizio col parrucchino arancione, durante la sua campagna elettorale pare determinato a costruire muri ai confini tra la nazione che si accinge a governare e il Messico (il film è del 2015), tanti disperati continuano a varcare la frontiera tra i due paesi nella speranza di una vita migliore. È quanto ci racconta questo notevole film del 35enne messicano Jonas Cuaròn, figlio del più noto Alfonso, che esordisce nel lungometraggio con una storia che ha la struttura narrativa di film come Duel, The hitcher e Caccia selvaggia e contenuti che lo avvicinano a La gabbia dorata e Babel. Un torpedone di messicani rimane appiedato in mezzo al torrido deserto situato al confine tra il loro paese natale e gli Stati Uniti poiché il mezzo sul quale viaggiano è in avaria. Proseguono a piedi, ma entrano nel mirino del fucile di un cacciatore sadico (Morgan) con feroce cane al seguito (al confronto, il Cujo di Stephen King era una mammoletta). L'uomo ne impallina una mezza dozzina a colpo sicuro, per poi mettersi sulle tracce dei superstiti, con lo scopo di eliminarli tutti.
Film ad altissima tensione e budget ridotto all'osso, che mette in scena l'odio viscerale del tipico provinciale americano con pickup, cappello da cowboy e bottiglia di whiskey al seguito nei confronti di un nugolo di disperati. La sfida a distanza tra il più sveglio dei messicani (Gabriel Garcia Bernal, ancora in una ruolo impegnato) e il cacciatore si risolve in parte in una carneficina che è un autentico atto politico di denuncia contro la libera iniziativa di chi può girare indisturbato, armi in pugno, trasformandosi all'occorrenza in cecchino.
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