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Desierto

Regia di Jonas Cuarón vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Desierto

di alan smithee
7 stelle

I confini sono fatti apposta per dividere e provocare tensioni, scontri e morti. Nella fascia desertica che separa Messico da Usa, un folle cowboys uccide uno ad uno un gruppo di migranti in cerca di fortuna. Ma dovrà fare i conti con un piccolo uomo che ha delle valide motivazioni per restare in vita. Thriller socio-politico efficace e teso.

Esordio molto interessante nella regia di un lungo, da parte del figlio trentacinquenne del celebrato e talentuoso regista messicano Alfonso Cuaron, Jonas.

La tematica è quantomeno attuale e scottante, proprio ora, alla vigilia delle elezioni presidenziali americane, con un probabile candidato repubblicano di idee e convinzioni marcatamente discriminatorie ed offensive nei confronti di tutto ciò che non è statunitense, messicani prima di ogni altra cosa.

Ci troviamo nella zona di confine tra Usa e Mex: un gruppo di immigrati tenta, come ogni giorno, di varcare la frontiera per introdursi nel territorio statunitense e tentare di rifarsi una vita sotto il segno di quel che resta del miraggio americano del successo individuale.

Purtroppo per loro il gruppo, che nella lunga traversata a piedi a cui è costretto in seguito ad un grave problema al motore del furgone che li trasporta, si è diviso in due parti – i più veloci ed i più lenti – rimane vittima del fuoco a bruciapelo e dei denti affilati di un duo micidiale: un certo fanatico di nome Sam sta pattugliando la zona col suo cane feroce e spara a sangue freddo a tutti i membri del gruppo di testa, esposti al pericolo in quanto in mezzo al deserto, senza possibilità alcuna di riparo.

Per la seconda metà del gruppo le cose si mettono meglio solo all’inizio: sarà l’inizio di uno sterminio, cadenzato lungo una fuga concitata tra rocce e sterpi, sentieri infestati di serpenti e un caldo soffocante.

Un giovane immigrato in cerca di raggiungere il figlio e la compagna, si trova a dover proteggere e salvaguardare oltre alla sua vita, pure quella di una giovane ragazza alla quale la famiglia ha imposto di migrare negli Usa.

Un duello serrato, condotto ad armi impari e motivato dalla follia e dall’arroganza del sentirsi padroni del luogo in cui la sorte ti ha consentito di vivere, negando con la forza, la prevaricazione e la morte, che altri possano tentare di migliorare il proprio status di vita seriamente compromesso da circostanze o variabili non gestibili.

Il film, concitato e dal ritmo coinvolgente e sin serrato, con situazioni al limite che ricordano la follia della mente umana di film ormai cult come The Hitcher di metà anni '80, è diretto con buon mestiere, e la lunga caccia ll’uomo che si trasforma in un vero e proprio duello all’ultimo sangue, mette in evidenza due personaggi diametralmente opposti ben disegnati e scandagliati interiormente: ad entrambi l’ottimo Jeffrey Dean Morgan nel ruolo del giustiziere assassino, e il piccolo ed apparentemente indifeso Gael Garcia Bernal, danno volto e corpo a due antagonisti molto ben costruiti e rappresentati, tasselli opposti di una lotta di confine e tra popoli che da sempre caratterizza e contraddistingue i principali conflitti che hanno incendiato di violenza la presenza umana nel mondo.

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