Regia di Giulio Petroni vedi scheda film
Un anno, una rivoluzione. E' il '68 e si vede anche in questo film. Come è accaduto spesso, il filone rivoluzionar-messicano, che s'allontana dai classici cow-boy dei western tuot court, è la cornice ideale per parlare d'impegno politico spegiudicato. Anche nel film di Petroni troviamo il valore ideale della rivoluzione, l'antieroe (Tepepa) che non riesci ad odiare ma nemmeno ad accettare in pieno, e il Colonnello, o Generale, o Dittatore, a simboleggiare la politica corrotta e malsana.
La mano western si vede, e Tomas Milian è una garanzia che non delude. Anche Orson Welles che poteva non c'entrare nulla in questo tipo di film, si rivela generosissimo nel ruolo odioso di Cascorro. Su tutte, la scena della sconfitta del Colonnello: quella macchinina rossa con la ruota a terra, il nulla intorno, e quel grassone di un dittatore rendono bene l'immobilità e la solitudine dei governi criminali, che possiamo trovare anche nei paesi civili, sia chiaro!
Ma ciò che spicca di più, e che a me fa anche più piacere, visto che i film puramente politici raramente sanno affascinarmi (credo di più nell'evasione come terzo schieramento politico tra destra e sinistra), è che tra rivoluzione e conservatorismo, alla fine si dà più peso ad altro ancora: l'amore e la vendetta, che sono ancora più umani che tutte le ideologie di partito. Non senza significato tutte e tre le morti dei tre protagonisti: il cattivo muore perchè cattivo; Tepepa perchè è comunque scomodo e fa leggenda morendo; il dottore/Steiner muore perchè condannare a pieno l'ideale rivoluzionario non si poteva. Bisognava creare la situazione giusta per ricordarci che era il '68.
Ma comunque, tra un John Steiner affascinante, un Tomas Milian impeccabile, e un Orson Wells cattivo azzeccato, il regista Petroni firma uno spaghetti-western decente, forse solo un po' troppo lento nall'inizio.
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