Regia di Paul Vecchiali vedi scheda film
Le notti bianche di Vecchiali non sono la semplice ripresa di un racconto che ha in Dostoevskij l’origine letteraria e nelle versioni di Visconti e Bresson due inevitabili e ingombranti modelli cinematografici. Forte di uno stile essenziale, non tanto astratto in senso per l’appunto bressoniano, quanto piuttosto oggettivo e frontale, Vecchiali racconta le quattro notti di un passeggiatore e le lunghe chiacchierate con una donna incontrata sulla banchina di un porto, sottolineando la dimensione psicologica e sottilmente ridicola del protagonista. Più che un sognatore, infatti, il professore di Vecchiali è un masochista, e la donna che incontra, amata e perduta nel volgere di poche ore, una proiezione delle sue fantasie più oscure. La messinscena notturna, bluastra e sonnambula carica il film di una dimensione ovviamente onirica: ma al posto del fiume, il mare scuro e poderoso porta con sé una simbologia psicanalitica ingombrante, decisiva. Il faro, le luci, il rumore dell’acqua fanno emergere un desiderio e una pulsione autodistruttiva che le immagini tendono a soffocare. La malinconia di Visconti e lo sbigottimento di Bresson diventano così malattia psichica, atto mancato; e il film si fa sintomo di una fragilità di sguardo che per una volta non riguarda il cinema, ma il personaggio stesso, figura tenera ma votata al fallimento, che nel suo vuoto emotivo non può non rivolgersi all’umanità intera.
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